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La sfida attuale della cultura d'impresa in Italia
di Alessandro Lombardo e Giuseppe Paletta
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A partire dal 1980, anno della costituzione del primo archivio storico d’impresa presso l’Ansaldo di Genova, un numero significativo di imprese ha promosso iniziative di tutela e valorizzazione del proprio patrimonio storico-documentale – localizzate soprattutto nei territori di più antica industrializzazione – che si sono distribuite in maniera più o meno omogenea su tutto il territorio nazionale. Diverse imprese hanno poi dato vita a istituzioni culturali stabili, tra loro molto differenti per la natura del patrimonio posseduto, per le iniziative sviluppate, per il diverso rapporto che la loro attività ha stabilito con quella più generale dell’impresa. Si è trattato di un processo di rilievo per il nostro Paese: per la prima volta l’intuizione dell’impresa in quanto istituzione culturale è uscita dall’isolamento che in passato aveva circondato l’opera di qualche imprenditore illuminato o l’esperienze di riviste illustri come «Civiltà delle macchine».
Parallelamente a questo processo, nuove istituzioni culturali di ricerca si sono sviluppate fuori dall’impresa ma ponendo questa e il lavoro come perno dell’analisi della società e delle sue trasformazioni. Grazie alla loro attività i temi dell’archeologia industriale, della museologia e dell’archivistica d’impresa, della storia del design e, più in generale, della produzione hanno conosciuto uno sviluppo teorico che ha fornito nuovi e più articolati strumenti agli operatori del settore. Ciò ha oggettivamente contribuito a formare una comunità di soggetti che, all’interno dell’impresa, cooperano stabilmente e si ritrovano in occasione di appuntamenti qualificati quali Archiexpo o la Settimana della cultura d’impresa.
A fronte di questi elementi positivi, il trentennio trascorso ha tuttavia messo in luce anche situazioni di criticità. Gli archivi e i musei d’impresa continuano a rimanere presi in una morsa tra discontinuità e utilitarismo che impedisce lo sviluppo qualitativo di un movimento culturale: da un lato l’intermittenza dell’impegno, determinata dalle alterne fortune dell’impresa madre e dalla sostituzione dei gruppi dirigenti, si riflette in chiusure momentanee, pause, ripensamenti che possono anche portare all’accantonamento definitivo del progetto. Dall’altro, il legame funzionale con l’impresa non sempre agisce virtuosamente e le finalità culturali vengono marginalizzate o piegate utilitaristicamente a obiettivi promozionali di breve periodo. Archivi e musei d’impresa non sono spesso affidati a operatori dotati di competenze specifiche. Ciò sia perché l’impresa preferisce non dedicare risorse umane stabili nei settori non direttamente operativi, sia perché si tratta di figure non facilmente reperibili sul mercato delle professioni. La particolarità dei saperi necessari, equamente ripartiti tra quelli di taglio umanistico, comunicazionale ed economico-aziendalistico, non trova risposta nei percorsi formativi oggi disponibili.
Nell’arco di un trentennio di esperienza è mancata la capacità di indirizzo e intervento della parte pubblica che non ha saputo o potuto accompagnare questo originale processo culturale verso obiettivi di continuità e di qualità. La latitanza operativa dell’amministrazione centrale dello stato, ma anche degli enti territoriali le cui competenze in materia si sono progressivamente ampliate, ha una responsabilità diretta sui tempi lenti dello sviluppo di questo particolare segmento della cultura italiana.
È tempo ora di intervenire per temperare i fattori negativi che impediscono alla cultura d’impresa di portare il proprio contributo allo sviluppo della cultura nazionale ed europea. È necessario farlo subito anche in considerazione della sfavorevole realtà economica che il nostro Paese sta attraversando: il rischio è che venga pregiudicata un’esperienza che, nonostante i suoi limiti, ha rappresentato la prima attestazione di responsabilità culturale da parte degli attori economici nel Paese. È necessario che gli istituti e gli organismi che in questi anni hanno maturato una maggiore esperienza nell’ambito della promozione della cultura d’impresa si aggreghino, riflettano e incalzino sia il sistema pubblico che quello privato – a cominciare dall’associazionismo imprenditoriale – segnalando a entrambi urgenze, soluzioni e strategie per ottimizzare risorse economiche sempre più scarse. È necessario rispondere alla discontinuità e all’incertezza crescente con la continuità dell’azione di organizzatori culturali e di intellettuali. Occorre superare la rarefazione temporale degli appuntamenti annuali e costruire tra gli operatori interazioni continue di pensiero e proposte politico-culturali.
Nel passato, questo compito è stato svolto con efficacia dalla rivista «Archivi e imprese» diretta da Duccio Bigazzi. A quella esperienza occorre oggi rifarsi per dare coesione al processo e fornire ai singoli operatori la prospettiva di un lavoro non isolato. Oggi la rivista on-line «Culture e impresa», costituita non a caso dal Centro per la cultura d’impresa e dalla Fondazione Ansaldo come spazio comune per alimentare il dibattito e il confronto tra queste due organizzazioni, pone le proprie strutture organizzative a disposizione di tutti coloro che intendano riprendere quel percorso.
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