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Vincenzo Guerrazzi, da operaio dell’Ansaldo a scrittore e pittore
di Salvatore Vento
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La recente mostra sulle opere di Vincenzo Guerrazzi (svoltasi alla Loggia della Mercanzia, in Piazza Banchi, nel cuore del centro storico genovese) e la pubblicazione del volume Verso il futuro. Dal presente agli anni ’70, sono state due importanti occasioni per ripensare un ciclo storico di straordinario impegno sociale e intellettuale.

Guerrazzi ha lavorato all’Ansaldo dal 1958 al 1974, un’esperienza determinante nella sua ispirazione letteraria e nei suoi quadri. Si tratta di una fabbrica che ha fortemente caratterizzato l’immagine di Genova, città del triangolo industriale. Una tradizione, quella ansaldina, davvero forte e suggestiva che esercitava un’indubbia influenza culturale nel tessuto civile genovese. I gruppi dirigenti operai avevano una precisa storia e identità formatasi nel periodo della Resistenza e della “ricostruzione nazionale” di cui si sentivano orgogliosi protagonisti. Una vita lavorativa che si prolungava nel tempo: dall’ingresso in fabbrica come apprendista all’uscita al momento della pensione.
Nel corso degli anni numerose sono state le ristrutturazioni e le riorganizzazioni societarie, ma chiunque fosse impegnato nel sociale e in politica non poteva prescindere dal confronto con questa tradizione. Tutte le ricerche storiche e sociologiche  arrivavano alle stesse conclusioni sulle caratteristiche di questi lavoratori.
Il periodo 1968-75, passato alla storia col nome di “autunno caldo” e di “centralità della condizione operaia”, vedeva lo stabilimento Meccanico di Sampierdarena, dove lavoravano tremila persone, un luogo privilegiato per analizzare il passaggio nella nuova fase di alta conflittualità sociale. Dal punto di vista dell’organizzazione sindacale abbiamo il passaggio dalla Commissione interna al Consiglio dei delegati composto dai rappresentanti dei lavoratori eletti in ogni reparto; alcuni di essi verranno distaccati (esentati) dalla produzione per svolgere attività sindacale a tempo pieno.
Nel 1969 si ottiene il primo contratto innovativo che si rafforza in quello successivo del 1973 dove vengono conquistate le “150 ore” di diritto allo studio (sia con corsi di recupero delle scuole medie che con seminari monografici all’Università). La stagione dei diritti si completa con la conquista politica dello Statuto dei lavoratori (1970) e con l’inquadramento unico operai-impiegati che le fabbriche genovesi anticipano di due anni rispetto alla generalizzazione sancita nel contratto nazionale di categoria. Fu una lunga ed estenuante lotta durata otto mesi con circa duecento ore di sciopero, chiusa con l’intervento diretto del governo il 31 dicembre 1971.
Con questa realtà si deve misurare ogni giorno l’operaio, “intellettuale disorganico” Vincenzo Guerrazzi. I suoi scritti, fin dai primi racconti pubblicati sui giornali locali, ci presentano comportamenti e sentimenti diversi da quelli fino ad allora percepiti. Allora la ricostruzione storico politica prevalente aveva come riferimento principale il militante (il quadro del sindacato e del partito) e i suoi ideali, mentre gli operai descritti da Guerrazzi sono gli operai comuni tormentati dalle difficoltà della vita quotidiana che si esprimono con un linguaggio immediato e irriverente, al di là di ogni  convenzione. Leggendo i suoi libri riusciamo a cogliere, nel bene e nel male, i lati umani dell’esperienza di fabbrica, che, comunque, rimane un’esperienza fondante la stessa creatività artistica dell’autore. Lui descrive i momenti di alienazione (la ricorrente nausea), di estraneità, la voglia di fuggire, di realizzarsi fuori, quasi come se la fabbrica fosse irriformabile, come se la “democrazia industriale” fosse pura demagogia e non una possibile conquista. Sembrava, quella di Guerrazzi, una visione più vicina all’operaio-massa tipico della catena di montaggio torinese che non all’operaio provetto e specializzato dell’Ansaldo. Memorabile (nel suo libro Nord e Sud uniti nella lotta) è la descrizione del viaggio in nave di mille metalmeccanici genovesi per partecipare alla manifestazione di Reggio Calabria dell’ottobre 1972.

A trent’anni anni di distanza, nel 2004, il romanzo L’aiutante di S.B. presidente operaio nasce da un ennesimo ritorno all’Ansaldo: il confronto è ora col progresso tecnico rappresentato dall’introduzione di una nuova macchina tuttofare, la grande fresatrice Kollmann, che il suo capo gli suggerisce di trattare come una donna amabile, gonfia d’amore; anche qui il vissuto operaio si intreccia con l’immaginazione letteraria.

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