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Le fonti orali tra AESS e Fondazione Ansaldo
di Renata Meazza

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Giuseppe, 60 anni
Io sono di Sesto San Giovanni. La mia generazione è più di trecento anni che è a Sesto. Questo risulta dal libro parrocchiale. Mio figlio ha fatto delle ricerche, mi diceva che fin dal 1600 – 1700 ci siamo sicuramente noi a Sesto. Mio nonno era contadino, […] faceva il mungitore sotto gli Zappa, grossi proprietari sestesi, avevano terra, poderi, case, animali, una grande villa. Mia nonna era casalinga. Mio papà faceva già l’operaio; ha lavorato alla Breda e poi alla Falck. Ha cominciato a nove anni a lavorare in fabbrica […]

Nel 1985 per il volume Milano e il suo territorio dedicato alla città, al suo profilo storico, antropologico e sociale, pubblicammo le interviste operaie raccolte da Franco Alasia a Sesto San Giovanni.
L’area metropolitana, ma anche il tessuto culturale dell’hinterland e dell’intera provincia, furono analizzati dal punto di vista archivistico (i documenti storici), letterario (oralità e scrittura), etnografico e sociale (i canti, lo spettacolo di piazza, la ritualità urbana), etnografico e antropologico (l’immigrazione, il lavoro, i luoghi di socializzazione), linguistico (le fonti orali, le inchieste linguistiche, il dialetto milanese e quello dei quartieri).
Accanto alle testimonianze venne pubblicato anche un saggio di Maria Luisa Betri Fonti orali e ricerca storica: le esperienze lombarde e milanesi, nel quale l’autrice scrive che “occuparsi di storia orale è diventato di moda” ma evoca contemporaneamente “acque agitate” dal momento che in taluni la storia orale suscita l’immagine di “nuovo fantasma che si aggira per i corridoi dell’accademia”.
Ritengo che le considerazioni sul tema, a più di vent’anni di distanza, non possano essere molto diverse.
Nei confronti dell’oralità esiste ancora tutta la diffidenza accademica e tutta l’entusiastica e acritica adesione di chi si improvvisa ricercatore di storia o di etnografia.
Il riconoscimento della testimonianza orale come uno dei documenti dotato di una sua specificità che racconta storie individuali e collettive ma anche allarga la comprensione di fatti storici e sociali, e che aggiunge, ai documenti di tipo più tradizionale, non tanto e non solo informazioni quanto e soprattutto quella parte emozionale, soggettiva e non traducibile nella sua trascrizione o narrazione scritta è a tutt’oggi tutt’altro che scontato.

In anni recenti, 2002-2004, l’Archivio di Etnografia e Storia Sociale della Regione Lombardia ha promosso insieme al Centro Cultura d’Impresa un progetto articolato e complesso sul tema del lavoro dal titolo “Luoghi della Tradizione e del Lavoro”.
In questo progetto i tratti caratteristici delle unità geografiche lombarde che ne hanno costituito il contesto di intervento sono stati desunti, oltre che da innumerevoli fonti bibliografiche, da centinaia di ore di registrazione delle fonti orali raccolte nell’Archivio e frutto dei lavori di ricerca condotti sul campo per l’occasione.
Se le fonti scritte contribuiscono principalmente a definire un quadro organico (in un certo senso “dall’alto”) del territorio e delle linee che ne hanno caratterizzato l’evoluzione moderna, la storia orale offre invece un’immagine prospettica vista “dal basso”. Illuminante, anche se priva di sistematicità, del mondo, fisico e simbolico, in cui hanno vissuto gli artefici delle opere e delle trasformazioni recenti del territorio regionale: uomini e donne del mondo agricolo legato alla cascina, alla vita quotidiana nei campi, nelle stalle, nelle risaie o nelle filande lontane da casa, sul fiume, sugli alpeggi o lungo i sentieri della transumanza e del piccolo commercio nomade, per arrivare in tempi più recenti al mondo della miniera, della fabbrica, dell’impresa più in generale.

La questione può essere osservata anche da altri punti di vista. Uno di questi è fornito dall’attuale dibattito che ruota intorno al concetto di patrimonio immateriale e al suo riconoscimento nell’ambito dei beni culturali, in particolare per quanto attiene alle forme di espressione individuali e collettive: il linguaggio, i saperi, la memoria, le forme espressive più riconosciute. Questo oggi ci consente di allargare la questione della testimonianza orale quale documento di lettura di un quadro geografico e storico, o dell’espressività complessiva di un gruppo sociale, o anche di una categoria di lavoratori, alla tematica della sua restituzione alla stessa collettività.

È questa nuova visione, o lettura, prospettica che ci fa interrogare su come impostare il dialogo con l’informatore, come prepararci all’incontro, come coniugare la necessità di predisporre un’intervista per temi con la capacità di cogliere l’inaspettato e di accogliere nuove conoscenze, e anche come catalogare e analizzare un parlato, che non è ancora possibile formalizzare, per restituirne in forma semplice la propria complessità.

Il progetto “La Liguria del saper fare si racconta” è in questo senso un importante laboratorio: un intero territorio regionale viene raccontato attraverso le voci di persone che hanno contribuito alla costruzione di alcune tra le sue imprese più significative.

La partecipazione al Comitato scientifico del progetto ci ha consentito di condividere – anche attraverso un proficuo scambio disciplinare – la metodologia  del lavoro di ricerca, e ci consentirà in un futuro prossimo di interrogarci sulle modalità teoriche e operative di restituzione dei documenti.

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