PTERÖS. Caproni e picnic industriali

In attesa che alcune storiche architetture industriali vengano riqualificate c’è chi invade gli spazi abbandonati riempiendoli di vita con la propria arte. Francesco Selvi e Matteo Pini, in arte l’ensemble Pteros, entrambi affetti da miopia ed ipermetropia sin dall’infanzia, dichiarano di essere arrivati alla loro arte perché, vedendoci appunto male, hanno dovuto reinventarsi una realtà tutta loro. Le loro storie visive si celebrano nelle cattedrali industriali diroccate delle colline emiliane; dall’obiettivo fotografico emergono racconti inattesi che si fondano sempre sulla memoria del luogo.

CAPRONI. Ex fabbrica aeronautica Caproni, Predappio 2010.
“[…]Si pensò quindi, nel lontano 1933, di aprire una fabbrica di caproni volanti.
Caproni.
Nella fabbrichetta, gentili signore fino a poco tempo prima impegnate nella sola stesura della piadina, solevano confezionare formaggelle volanti; grande problema era puzza nell’ ambiente di lavoro. A tale scopo, la signora Gira, intuì l’importanza di un buon sistema di areazione, e soprattutto di una molletta posizionata a d’uopo.
Ma le signore, capivano cosa stavano facendo?
Capivano l’orrore del proprio lavoro?
Una formaggella volante può essere letale.
L’età le fece riflettere, ed oggi di quei caprini Caproni resta soltanto archeologia industriale.”
(dalla presentazione del progetto fotografico)

Nel 1935 Mussolini collocò nel suo paese di origine, Predappio, una nuova fabbrica aeronautica affidandone la direzione all’ingegnere italiano Giovan Battista Caproni: da quello stabilimento uscirono i 150 esemplari del Caproni Ca 164. Il complesso architettonico, edificato nel 1933, comprendeva due preesistenti edifici gemelli appartenenti alla società Zolfi, che estraeva dal colle il materiale. Durante la Seconda Guerra Mondiale lo stabilimento fu potenziato e dotato di una serie di cunicoli sotterranei per proteggere le lavorazioni dai bombardamenti.
Gli aerei costruiti dalla Caproni volarono per tutta Europa, fino alla fine del conflitto. Dopo i fasti degli anni trenta e la produzione bellica negli anni ’50 fu il declino. Ma il passato risuona tra le pareti sudice della fabbrica, fa vibrare ancora storie ed emozioni. Caproni è una di queste.

UN POMERIGGIO COLOR CARTA DA ZUCCHERO. Ex Zuccherificio Eridania, Forlì 2011.
“Al centro della radura si ergeva una costruzione enorme, come di cattedrale, dai muri divelti in diversi punti, le finestre scardinate e rotte, un comignolo alto e stretto fino alle stelle che una ad una andavano scomparendo nel mattino. Pareva galleggiasse nella nebbia, visione mistica e affascinante colma di vuoto e silenzio. Ora i due avevano smesso di ridere e sentivano solo i propri respiri affannosi, mentre la foresta taceva enigmatica.”
(dalla presentazione del progetto fotografico)

Lo stabilimento forlinese venne realizzato nel 1900 da maestranze tedesche per conto della Società Anonima Eridania di Genova; vi produceva zucchero a partire da barbabietole.
Nel 1940 la fabbrica impiegava mille dipendenti stagionali. Ripresosi dai gravissimi danni inferti dai bombardamenti aerei, lo Zuccherificio tornò a lavorare fino alla costituzione del Mercato Comune dello zucchero, alla fine degli anni Sessanta, che, col suo carico prefissato di quote zucchero su base europea, mise in ginocchio la società genovese. Passato in proprietà della “S.F.I.R.” del Gruppo Maraldi, chiuse definitivamente i battenti nel 1972. Oggi il complesso è fatiscente e in completo abbandono. Il Gigante Addormentato lo chiamano da queste parti.