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Prefazione
di Giuseppe Paletta
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Con l’intervista di Daniela Brignone sull’esperienza della Peroni, continua l’analisi sulle strutture che, all’interno dell’impresa, operano per la salvaguardia e la conservazione della sua memoria.

Come nel caso della Barilla, la storia dell’Archivio e del Museo della Peroni nasce da un processo di riconoscimento dell’identità attivato dalla famiglia imprenditoriale e affiancato dalle altre componenti sociali presenti nell’impresa.

La mediazione manageriale nel caso in esame non compare, né potrebbe essere altrimenti: il management di alto livello era una componente assente presso la Peroni dove la famiglia presidiava la gestione diretta. Tuttavia, nel momento in cui essa ha ceduto la proprietà alla multinazionale, l’assenza di un soggetto intermedio in grado di farsi portatore dell’identità dell’impresa potrebbe farsi sentire.

Anche in questo secondo caso, l’archivio è incardinato nella struttura operativa dell’impresa per cui gli effetti dell’andamento economico si riflettono senza schermi sulla struttura culturale interna alla quale, naturalmente, non è riconosciuta una posizione di primo piano nell’ambito della gerarchia interna delle priorità. La prospettiva non parrebbe positiva e tuttavia l’intervista individua in questa maggiore commistione con l’operatività dell’impresa – e quindi di coinvolgimento nella battaglia quotidiana dell’impresa – il vantaggio di costruire più profonde solidarietà con le altre funzioni interne.

Il tema del rapporto tra l’Archivio/Museo Peroni e la nuova proprietà multinazionale, con le nuove dimensioni organizzative dell’impresa, è evidentemente uno dei più delicati. L’intervista mette in evidenza le articolazioni di questo rapporto ma non può spingersi sul terreno di una previsione. Dall’evoluzione di tale rapporto dipende, peraltro, non solo il futuro dell’attività culturale dell’impresa, ma quello dell’impresa stessa in quanto soggetto economico autonomo e riconoscibile.

Nel caso della Peroni, inoltre, l’intervento culturale attivato dal presidente Natali nel 1993 mette in luce la presenza di tentativi pregressi di valorizzazione della memoria dell’impresa. Oggetti evocativi della cultura materiale dell’impresa erano già stati episodicamente raccolti nel corso degli anni; già dunque esisteva consapevolezza di una nobiltà del fare, derivante dalla propria funzione produttiva, che avrebbe dovuto essere ospitata in un museo. Dunque, l’intervento in cui Daniela Brignone è chiamata a prestare la sua competenza scientifica invera un bisogno di autorappresentazione quasi immanente all’attività produttiva. È come dire che la memoria costituisce un bisogno spontaneo delle organizzazioni motivate. Interessante è osservare poi come, in assenza dell’intervento razionalizzatore proprio dell’intellettuale, la spontaneità riconosca in via prioritaria la valenza semantica contenuta negli oggetti, piuttosto che nei documenti d’archivio. Questa riflessione ne apre una seconda: l’intervista individua un archivio storico e un museo, quindi sembra accettare una separazione funzionale tra due diversi insiemi di beni culturali. È questo un aspetto rimasto inesplorato nell’intervista ma sul quale avremo modo di tornare negli incontri successivi.

Un ultimo avvertimento: Daniela Brignone svolge una funzione di consulenza e sviluppo all’interno dell’Archivio e del Museo della Peroni e, al tempo stesso, esplica un’attività di ricerca nell’ambito della libera professione, collaborando – tra gli altri - anche con il Centro per la cultura d’impresa. L’intervista è stata rilasciata in questa seconda veste e quindi il suo contenuto non coinvolge in alcun modo il punto di vista dell’impresa.

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