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La Fondazione Borsalino: intervista a Roberto Gallo ed Elena Masoero
di Giuseppe De Luca
Realizzata il 21 ottobre 2009

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All'origine della Fondazione: valorizzazione del patrimonio culturale e potenziamento della comunicazione d'impresa


Come nasce la Fondazione Borsalino
Il Museo del cappello Borsalino
I rapporti con l'impresa e la gestione
Uno sviluppo «con i piedi nel borgo e la testa nel mondo»


G.D.L.: Quali sono le motivazioni che hanno portato alla nascita della Fondazione?
R.G.: La Borsalino è un'azienda che ha centocinquant'anni ed è un marchio conosciuto in tutto il mondo. È "made in Italy", fa artigianalità, arte e cultura, ha una collezione storica e quindi è portatrice di valori veri, di cultura d'impresa. Ragionando dentro di me dicevo che di fatto esisteva già una fondazione nella Borsalino, intesa come un contenitore "occulto" che include tutti questi valori ma nessuno lo vedeva e che toccava a noi farlo uscire e, allora, nel momento in cui abbiamo preso coscienza di questo, insieme all'architetto Elena Masoero, che sin dall'inizio ha seguito con me tutte le fasi progettuali e costitutive, abbiamo incominciato. A questo punto applicando una mia metodologia personale mi sono chiesto: devo verificare se ci sono delle valide ragioni per non fare una Fondazione Borsalino. Se le trovo non procedo, se non le trovo vado avanti. Ne ho trovata una sola di tipo economico-finanziario ma di breve termine. Se credi infatti in un progetto e pensi che questo abbia una funzione di un certo tipo all'interno di un percorso che stiamo percorrendo e se sei convinto della bontà del progetto, questo verrà valutato, come tutti gli investimenti, dopo un certo lasso di tempo. Avendo questo "scrigno" all'interno della Borsalino ed essendo convinti dell'assoluta eccezionalità di questi valori, era un delitto non dare seguito ad una simile iniziativa.
G.D.L.: Quindi la Fondazione come raccoglitore e vetrina di valori imprenditoriali che – proseguendo lungo la linea della sua metafora – costituiscono un vero e proprio tesoro accumulatosi lungo un secolo e mezzo di storia aziendale. Ma quando incomincia il suo "innamoramento" verso questo patrimonio della Borsalino?
R.G.: L'innamoramento per la Borsalino arriva nel momento in cui metto piede per la prima volta nella fabbrica. Io sono dottore commercialista, laureato in economia e commercio e quando la mia famiglia, nel 1992, ha acquisito la Borsalino, ha deciso che fossi io ad occuparmene in prima battuta.
G.D.L.: La sua famiglia è di estrazione imprenditoriale?
R.G.: La mia famiglia è di estrazione imprenditoriale ed è una realtà di riferimento nel settore edile per l'Astigiano. Quando abbiamo acquisito la Borsalino, questo marchio molto importante a 30 chilometri da casa, abbiamo accettato una bella sfida.
G.D.L.: La sua è stata quindi una sorta di fascinazione verso il mondo che le si è spalancato dentro la fabbrica.
R.G.: Provenendo da una realtà imprenditoriale e industriale respiravo già quest'aria, però non avevo visto mai un processo produttivo di quel genere. Quando entri e vedi che cosa significa fare il feltro – sette settimane di lavorazione, più di 50 passaggi, grossa manualità, pezzi che non sono mai l'uno uguale all'altro – o non ti interessa niente, perché non lo consideri il tuo lavoro, oppure te ne innamori. Vedi produrre un cappello che, nell'arco di centocinquant'anni, è rimasto sostanzialmente lo stesso. Le faccio un esempio eclatante: il rapporto tra numero di pezzi prodotti e numero di operai impiegati è rimasto lo stesso. Nel 1900, quando è morto Giuseppe Borsalino, si realizzavano circa un milione di cappelli con novecento operai. Dopo la crisi del cappello e del copricapo il mercato si è ridotto, la produzione è arrivata a fare circa 85-90 mila pezzi di feltro con 85-90 operai. Quindi il rapporto è rimasto invariato: quante aziende nell'arco di 100-150 anni non hanno goduto di un miglioramento tecnologico o utilizzato nuove tecniche produttive per ridurre questo rapporto, che ha un peso molto forte sul conto economico? Quando all'inizio affermavo che esiste un'importante componente di artigianalità nella Borsalino, mi basavo su un dato provato. Nei dizionari più importanti il marchio Borsalino è diventato sinonimo di cappello e se questo, dal punto di vista della "volgarizzazione" del marchio ci crea dei problemi, riflette però anche tutta la forza evocativa acquisita dal marchio, la sua forza radicata.
G.D.L.: L'interesse e la passione per il core storico-culturale dell'azienda sono stati quindi immediati e risalgono al suo primo contatto con la Borsalino.
R.G.: Certo. Ancora prima di decidere di arrivare a costituire – nel gennaio 2008 – la Fondazione, io e l'architetto Masoero avevamo deciso, senza pensarci sopra molto, di mettere in pista delle attività che evidenziassero e valorizzassero i contenuti culturali dell'impresa e che poi si sono dimostrate prodromiche per la Fondazione stessa. Mi riferisco a tutto il lavoro che abbiamo fatto col Politecnico di Torino e col Politecnico di Milano sulla ricerca di nuovi prototipi fatti dai loro giovani studenti universitari. Mi riferisco a quando abbiamo aperto, o meglio chiuso, la boutique Borsalino di Rue de Grenelle a Parigi per ospitare le esposizioni di alcuni artisti e la boutique Borsalino è diventata, staccando il registratore di cassa, una galleria d'arte per tre mesi all'anno. Mi riferisco a quando abbiamo deciso di portare avanti il discorso del Museo del cappello Borsalino.
G.D.L.: Anche la riflessione più specifica sull'importanza del patrimonio e della memoria storica dell'impresa prende dunque il via fin dalle prime fasi della sua acquisizione.
R.G.: Siamo stati subito consci di questo e anche della grossa difficoltà che avrebbe costituito recuperare e catalogare tutto il patrimonio storico. L'architetto Masoero può aggiungere qualcosa a questo proposito.
E.M.: Quando siamo partiti a ragionare sui grandi valori della Borsalino e quindi sul suo patrimonio culturale – che non andava trascurato ma anzi rivalorizzato – abbiamo pensato che il primo modo per farlo era sicuramente quello di comunicarlo. Siamo maturati attraverso piccoli passi, abbiamo deciso di strutturarci e di crescere passo dopo passo, cercando di capire dalle esperienze passate ciò che aveva funzionato e ciò che andava corretto in modo da arrivare, ad esempio, alla costituzione della Fondazione con dei presupposti che potessero rassicurare noi ma che ci rendessero credibili verso l'esterno. Dopo le prime iniziative siamo arrivati alla creazione del Museo, risultato di un accordo che la Borsalino spa aveva già preso in passato con il Comune di Alessandria ma che era rimasto in stand-by per tantissimi anni. È stato un passo nodale perché ha rappresentato la restituzione al territorio di un passato, di una storia, di un legame che si era andato progressivamente allentando negli anni. Per un lungo periodo ogni famiglia di Alessandria contava come minimo una persona che lavorava in Borsalino. Questa percentuale è andata diminuendo col passare degli anni e quindi questo legame che in passato era proprio "fisico" si è attenuato. Ci hanno raccontato, mentre lavoravamo alla realizzazione del Museo, che la vita della città ruotava attorno agli orari della fabbrica – come in tutte le one company town – che c'era una completa e totale sovrapposizione delle opere pubbliche, dei ritmi e delle offerte culturali. Realizzare questo Museo è stato come restituire alla città e al territorio una storia che era tanto della Borsalino quanto della città di Alessandria ma è stato anche esplicitare e far conoscere a chi lavora oggi in Borsalino il passato dell'azienda e il valore acquisito nel tempo. Questo è stato quindi l'investimento di partenza da parte della Borsalino spa, nato nell'impresa come "Progetto arte e cultura" e poi dirottato alla Fondazione al momento della sua costituzione.

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