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La Fondazione Borsalino: intervista a Roberto Gallo ed Elena Masoero
di Giuseppe De Luca
Realizzata il 21 ottobre 2009

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All'origine della Fondazione: valorizzazione del patrimonio culturale e potenziamento della comunicazione d'impresa


Come nasce la Fondazione Borsalino
Il Museo del cappello Borsalino
I rapporti con l'impresa e la gestione
Uno sviluppo «con i piedi nel borgo e la testa nel mondo»


G.D.L.: Sotto il profilo finanziario sta riuscendo, quindi, a coinvolgere l'impresa. L'attenzione verso il territorio, cui accennava in precedenza, e la risposta di questo verso le iniziative della Fondazione invece come sono?
R.G.: La nostra politica culturale nasce orientata verso la comunità. Se manca l'integrazione con il tessuto locale, a livello di istituzioni, di personalità, di pubblico, la Fondazione non diventa un progetto vincente. Bisogna allargare anche i confini spaziali ma noi intendiamo fare una Fondazione che necessariamente sia radicata nel territorio: Alessandria significa Borsalino e Borsalino significa Alessandria però vorremmo diffondere la cultura della Borsalino e far conoscere la Borsalino in tutto il mondo. Questo è il nostro punto di partenza e al tempo stesso la nostra filosofia di sviluppo.
G.D.L.: È proprio il caso di dire: una Fondazione con i piedi nel borgo e la testa nel mondo.
R.G.: Tenendo presente un dato molto importante e una peculiarità imprescindibile di questa impresa: la Borsalino, caso unico al mondo, ha una dimensione di media impresa ma un marchio che corrisponde a fatturati da grande impresa. Non è possibile quindi applicare determinati modelli gestionali a realtà come la nostra in cui l'abito o il cappello vanno cuciti addosso; è difficile assumere dei cliché che funzionino. Quando vieni in Borsalino hai un respiro di un'ampiezza incredibile ma ti scontri con questioni, del settore amministrativo, commerciale, del marketing che sono tipiche di un'azienda di media dimensioni. Noi abbiamo stabilito il centro di interesse a livello di marketing e pubbliche relazioni a Milano, che è l'unica città veramente internazionale che abbiamo in Italia, e dobbiamo poi fronteggiare dei problemi operativi giornalieri che altre realtà non hanno.
G.D.L.: La Fondazione è dunque un veicolo per allargare questa concezione, per fare capire all'interno dell'impresa così come al territorio locale, che il successo della Borsalino sta anche nell'internazionalizzazione e che la cultura del lavoro locale che esprime artigianalità, che esprime un saper fare che si è sedimentato attraverso i secoli, se vuole sopravvivere, deve misurarsi con delle logiche che oramai sono globali. La valorizzazione della memoria storica, a trecentosessanta gradi, costituisce sicuramente un elemento per rafforzare in tutti gli stakeholders l'importanza della dimensione culturale, che non può più essere vista solo come una sovrastruttura ma deve essere considerata e trattata come un asse portante del capitale sociale territoriale.
R.G.: Noi siamo partiti da un patrimonio storico, che abbiamo e stiamo recuperando; lo stiamo attualizzando, verifichiamo cosa si può e conviene esportare ma l'importante è che tutti siano partecipi di questo patrimonio: se io in casa ho un quadro che vale un miliardo di euro e nessuno lo capisce, non serve a nulla. La prima cosa da fare, su cui stiamo puntando, è quindi fare capire a tutti, all'impresa, al territorio e alle sue istituzioni, l'importanza di quello che abbiamo.
E.M.: Del resto, l'importanza del legame col territorio è molto forte. Non per niente la prima sezione del Museo riguarda il territorio dov'è nata la Borsalino e la narrazione della storia parte dal 1700. Non è un caso se la Borsalino è sorta qua: ci sono degli antefatti che hanno fatto sì che la Borsalino si sia sviluppata qui; è sempre la storia che ci ha mostrato come da Alessandria l'avventura della Borsalino si è diffusa su tutto il territorio mondiale e che quindi la nostra dimensione vuol essere duplice: locale, perché questa è inscindibile dalla Borsalino ma al contempo internazionale, con una visione a trecentosessanta gradi. Un legame col territorio che è fortissimo.
G.D.L.: Un legame che non si è fermato al passato, ma che vuole proiettarsi sul presente e servire per il futuro.
E.M.: Quello che io ci terrei a sottolineare è che già il progetto del Museo è nato come un Museo della storia, del territorio, della Borsalino, del costume ma con un legame imprescindibile al contemporaneo, nel senso che il percorso permanente termina con una sezione di copricapo contemporanei e, per quanto piccola, c'è una sezione di mostre temporanee. Il Museo deve per forza essere un organismo che si alimenta, che si accresce e che quindi genera pensiero, ricerca, approfondimenti anche perché a partire dalla storia dei centocinquant'anni dell'impresa in avanti, il tema "cappello" può essere letto in mille modi diversi e con tutti i legami culturali che intercetta non poteva essere racchiuso in un qualcosa di statico. Nei due anni passati, si sono succedute mostre temporanee, tutte sempre concordate con il Comune e finanziate al 50% per volontà di entrambi; in questi casi non c'era nulla che obbligava la Borsalino spa a prendere parte al loro finanziamento ma è stata una nostra volontà perché le esposizioni temporanee sono uno strumento molto importante di studio, di indagine, di scoperta e di ragionamento. Tuttavia al momento lo sviluppo di iniziative simili, dovendo essere concordate al 100% da un ente pubblico e da un ente privato, soffre e genera frizioni.
G.D.L.: Le sollecitazioni e l'apporto della Fondazione nei confronti delle attività del Museo vanno nella direzione di farne più che una realtà meramente conservativa, un Centro permanente di interpretazione, finalizzato soprattutto a restituire all'economia del territorio, un portato e un capitale strategico maturato anche in ambito internazionale.
R.G.: Noi pensiamo che la cultura si importi e si esporti, quindi posso capire le esigenze del Comune di Alessandria di concentrarsi su iniziative locali ma nello stesso tempo voglio far capire che, se portiamo all'interno dei locali del Museo, tramite la Fondazione, delle realtà importanti a livello internazionale, Alessandria comincia così ad uscire dai suoi confini territoriali. Se mi permettono di utilizzare il lavoro fatto per esportarlo in strutture, in enti e in musei esteri, in associazioni di tipo internazionale, contemporaneamente crescono la Fondazione e la città di Alessandria. Noi abbiamo realizzato, all'interno dei locali del Museo del cappello Borsalino, l'esposizione con i copricapo premiati con il Premio Hermés nella rassegna 7th International Hats'Art Competition all organizzata dall'Atelier-Museé du Chapeau di Chazelles sur Lyon. Erano cappelli fantastici ma questa iniziativa non può rimanere solo ad Alessandria, deve essere esportata o bisogna cercare con il Museo di Chazelles sur Lyon, piuttosto che con altre strutture con le quali siamo in contatto, di costruire un network internazionale. Finché rimani confinato nella tua provincia hai magari portato avanti il tuo compito istituzionale locale ma resti all'interno del tuo perimetro, disponendo invece di uno strumento che ti può lanciare a livello internazionale e farti crescere.
G.D.L.: Quali sono i numeri dei visitatori del Museo?
R.G.: Nei primi due anni sono stati circa 7.000.
E.M.: Più o meno sono 3.500 all'anno: per Alessandria e per una struttura che comunque apre solo il week-end sono una cifra discreta.
G.D.L.: Ma è aperto solo il week-end?
E.M.: Sì con delle aperture infrasettimanali, naturalmente su richiesta. L'amministrazione pubblica ha grande disponibilità per organizzare visite guidate e accogliere scolaresche. Non c'è assolutamente limitazione in questo senso, ma è una realtà in sé piccola. All'interno dell'associazione dei Musei d'impresa, di cui siamo parte, è un museo che ha dei buoni numeri per la sua dimensione e per la risposta che riesce a suscitare. Ad esempio nel marzo 2008 abbiamo organizzato una mostra, che ha avuto la sua prima tappa all'interno del Museo e che si intitolava Perdere la testa. Il cappello tra moda e follia. Promossa dalla Fondazione Borsalino e dedicata all'iconografia del cappello e della moda nella collezione di Arte Outsider dell'Atelier di Pittura Adriano e Michele dell'Ospedale Fatebenefratelli di San Colombano al Lambro, proponeva una lettura del cappello molto trasversale, che aveva – se vogliamo – poco a che fare col cappello Borsalino ma voleva mostrare il cappello rappresentato da questi pazienti in quanto accessorio di moda o come elemento tra il terreno e l'ultraterreno o come qualcosa che ti permette di conformarti o anche di distinguerti. Ebbene questa esposizione, molto particolare, per la quale avevamo molti dubbi sul buon accoglimento ad Alessandria, ha avuto invece dei numeri altissimi e un tale successo da essere replicata a Palermo e a Roma. Adesso l'abbiamo in programma a Lecce, a Milano e ci hanno contattato anche sedi estere per esportarla. Questo caso è emblematico di quello che a noi piace e di quello che vorremmo fare: sviluppare dei progetti, produrre delle elaborazioni e degli studi che – realizzati come in questo caso insieme alla città – possono accrescere non solo il patrimonio culturale della Borsalino ma anche arricchire il tono e lo standing culturale di Alessandria.
G.D.L.: La Fondazione quindi come soggetto attivo di un sistema culturale integrato sul territorio.
E.M.: Esatto. Se noi possiamo metterci progettualità e agilità, su altri versanti l'amministrazione pubblica presenta una valore aggiunto, alcune risorse che solo essa può garantire e che un ente privato avrebbe ben più difficoltà ad assicurare.
G.D.L.: Se mi è consentita una domanda conclusiva, quali sono i progetti futuri della Fondazione?
E.M.: Abbiamo una cartellina piena di progetti che devono partire. Il programma che ci siamo dati, visto che siamo una Fondazione giovane e piccola e non possiamo permetterci chissà quali colpi di testa, è di investire su un progetto grande all'anno, prodotto da noi, che reputiamo possa avere una ricaduta importante e su iniziative più ridotte, che però valorizzino il nostro archivio, aumentino la conoscenza della nostra storia e che ci diano un plus all'interno della Fondazione e della Borsalino. Non intendiamo investire in sponsorizzazioni o in attività che ci diano solo visibilità momentanea, perché pensiamo che queste cose si esauriscono mentre per noi questo è un investimento di lunga durata e che dovrà poi dare dei frutti. Vogliamo che tutte le esperienze che intraprendiamo si possano collezionare e diano sostanza: abbiamo maturato questa convinzione anche andando a riprendere le iniziative che nel corso della sua lunga storia la Borsalino aveva intrapreso a livello culturale e sociale. Avevano investito in esperienze, per i tempi, anche molto innovative e importanti lasciando segni che sono rimasti: il primo concorso di grafica per la produzione di un manifesto pubblicitario in Italia è stato fatto dalla Borsalino ed è stato vinto da Marcello Dudovich; abbiamo ritrovato collaborazioni con grafici e con disegnatori importantissimi; quando collaboravano con qualche architetto, il loro interesse era per la realizzazione di edifici di qualità, di cose belle, sensate e di valore e che in effetti ancora oggi sono riportate sui libri di architettura contemporanea. Tutto ciò che è stato fatto – e non siamo a conoscenza di tutto – ha comunque lasciato un segno, quindi noi vorremmo che anche i nostri progetti, per quanto piccoli, possano dare e lasciare qualcosa.
G.D.L.: Quindi anche nella sua progettualità, la Fondazione si ispira alla tradizione culturale dell'impresa, al suo impegno profuso in passato.
R.G.: Sì, lo sentiamo come un dovere. È anche il dovere nei confronti di un'eredità decisamente pesante. Il fondatore dell'impresa, Giuseppe Borsalino, è stato un uomo straordinario, un precursore a trecentosessanta gradi in tante cose: è stato un industriale che ha fatto diventare il cappello una produzione di massa ma è stato anche un benefattore e un avventuriero; è stato un personaggio veramente importante, con una vita molto complessa in cui ha dato tanto. Quindi da parte nostra è proprio un dovere e sarebbe un delitto non continuare il suo impegno culturale.
G.D.L.: E questa è proprio una motivazione importante e ammirevole, grazie.

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