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Un bilancio ventennale sugli archivi d’impresa
di Paola Carucci

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Nel 1984 fu pubblicato un numero unico della “Rassegna degli Archivi di Stato”dedicato interamente agli archivi di impresa che faceva il punto di quanto si era realizzato in questo settore nel precedente decennio. La “Rassegna” del 1984 pubblicava gli atti di due importanti convegni tenutisi a Genova due anni prima, promossi l’uno dall’Ansaldo e l’altro dall’Azienda municipalizzata trasporti (AMT) della città, faceva una panoramica della situazione internazionale e forniva l’elenco degli archivi di impresa e di enti pubblici economici conservati negli Archivi di Stato e degli archivi di impresa dichiarati di notevole interesse storico. Alcuni degli interventi pubblicati provenivano, e si trattava di una importante novità, dalle stesse aziende. Emergeva anche una attività più mirata delle soprintendenze archivistiche: erano stati dichiarati di notevole interesse storico oltre 180 archivi di impresa, alcuni dei quali inglobavano un cospicuo numero di altre aziende, mentre tra le fonti economiche conservate negli Archivi di Stato erano più numerose quelle relative a enti pubblici. Risultava di particolare rilievo l’impegno della Soprintendenza archivistica della Toscana che aveva effettuato un primo censimento degli archivi di impresa su tutto il territorio.

Negli anni successivi si rileva una consistente attività editoriale e un crescente impegno dell’Associazione nazionale archivistica italiana (ANAI), ove risultano ora iscritti non più soltanto gli archivisti di Stato, ma anche quanti operano nel settore delle fonti documentarie presso istituzioni private e pubbliche o come liberi professionisti.

Vengono pubblicati, oltre a un congruo numero di inventari di archivi di singole imprese, un censimento degli archivi d’impresa del Lazio, a cura della Soprintendenza archivistica, un censimento di quelli dell’area milanese, a cura della Regione Lombardia, una rassegna dei fondi aziendali dell’Istituto milanese per la storia della Resistenza e del movimento operaio, una rassegna di archivi delle aziende municipalizzate in Veneto, una rassegna di fonti per la storia della cooperazione di credito cattolica a Bergamo, una guida alle fonti per la storia dell’economia comasca, un’indagine sulle manifatture cotoniere meridionali, una rassegna di fonti per la storia dell’emergenza e della ricostruzione a Reggio Calabria, una rassegna di fonti per la storia dell’agricoltura lombarda post unitaria, e un’altra sulle fonti per l’agricoltura in Sardegna, un repertorio di fonti inedite per la storia dell’industria romana contemporanea, mentre una panoramica degli archivi delle camere di commercio risulta dagli atti del secondo seminario nazionale sugli archivi di impresa, tenuto a Perugia nel 1988; già risultavano pubblicati alcuni inventari di singole camere di commercio, cui altri ne seguono e, infine, si arriva a una guida generale, ancorché sintetica. Un saggio del 1995 su “Archivi e imprese” illustrava gli archivi degli enti pubblici versati all’Archivio centrale dello Stato dall’Ufficio liquidazioni del Ministero del tesoro. I riferimenti bibliografici relativi alle pubblicazioni indicate e agli atti dei convegni segnalati nel paragrafo seguente si trovano in Direzione generale degli Archivi, Catalogo delle guide e degli inventari editi (1861-1998), a cura di M. T. Piano Mortari e I. Scandaliato Ciciani con introduzione e indice dei fondi a cura di P. Carucci, voll. 2, MBAC-DGA, Roma 1995 e 2002; Direzione generale degli Archivi, Cinquant’anni di attività editoriale. Le pubblicazioni dell’Amministrazione archivistica (1951-2000). Catalogo, a cura di Antonio Dentoni-Litta, Elena Lume, Maria Teresa Piano Mortari, Mauro Tosti Croce, MBCA-DGA, Roma 2003.

Soprattutto negli anni Novanta si svolgono convegni e seminari che spesso soffermano l’attenzione non solo sugli archivi di impresa, ma anche su quelli sindacali.
Un convegno sugli archivi delle aziende di credito e sulle fonti per la storia delle banche si teneva a Roma nel 1989 e forniva, oltre a una diffusa informazione sul tema, anche il censimento degli archivi delle banche di interesse locale in Umbria. Nel 1993 si teneva a Roma una giornata di studio sugli archivi economici. Un importante convegno organizzato a Torino nel 1994 dalla Regione Piemonte, in collaborazione con la Fondazione Gramsci e l’Associazione nazionale archivistica italiana, forniva un’ampia informazione sulle fonti archivistiche dei sindacati dei lavoratori, delle associazioni imprenditoriali e delle imprese in Italia e in Europa. Vanno altresì segnalati, tra altre iniziative, almeno i tre importanti convegni organizzati dalla Sezione Friuli-Venezia Giulia dell’Associazione nazionale archivistica italiana dedicati agli archivi delle banche, nel 1997, a quelli delle assicurazioni, nel 1999, a quelli delle imprese, nel 2002, i cui atti sono stati pubblicati dalla stessa ANAI, e la giornata di studio sull’archivio e le banche organizzata a Napoli nel 2000.

Parallelamente a questa intensa attività di incontro e di scambio informativo, giunge a maturazione la riflessione metodologica in ambito archivistico: nel 1998 vede la luce il Manuale di archivistica per l’impresa di Paola Carucci e Marina Messina, nato dall’esperienza dei corsi di archivistica d’impresa organizzati a Milano dal Centro per la cultura d’impresa, cui nel 2003 segue Archivi d’impresa di Giorgetta Bonfiglio Dosio.

Rispetto ai fondi conservati negli Archivi di Stato censiti nel 1984, si può rilevare un certo incremento nell’acquisizione di archivi di impresa, basti pensare alla Società generale immobiliare - Sogene, acquisito dall’Archivio centrale dello Stato, che dispone anche di una cinquantina di importanti archivi di enti pubblici, tra cui l’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), l’Ente gestione e liquidazione immobiliare (EGELI) che con la collaborazione di alcune banche gestiva i beni sottratti agli ebrei a seguito delle leggi razziali, parte della Cassa per il Mezzogiorno, l’Istituto nazionale cambi con l’estero (INCE); rilevante anche una tendenza alla concentrazione di vari archivi di impresa, per esempio negli Archivi di Stato di Torino, Biella e Varallo, Trieste, Firenze, Terni. Di queste nuove acquisizioni viene data puntuale informazione ogni anno sulla “Rassegna degli Archivi di Stato”. Manca invece una puntuale informazione su quali e quanti archivi di impresa siano stati dichiarati di notevole interesse storico dopo il 1984. E’ previsto in tempi brevi l’avvio della comunicazione su Internet dei dati archivistici in possesso delle soprintendenze archivistiche, ma perché si possa disporre in rete di tutte le informazioni, con aggiornamento immediato, si richiedono tempi abbastanza lunghi.

Ha svolto un’intensa attività di interventi e sensibilizzazione il Centro per la cultura d’impresa di Milano, istituito nel 1991 per iniziativa di un gruppo di studiosi di storia dell’impresa e della Camera di commercio di Milano, ma al suo modello si è fino ad ora ispirato solo un Centro studi sull’industria e sul patrimonio archeologico e industriale organizzato in Veneto dalla Camera di commercio di Vicenza, nel 1986. Proprio il Centro milanese, nella persona del suo direttore, nella Prima Conferenza nazionale degli archivi tenutasi presso l’Archivio centrale dello Stato nel 1998, si fece interprete dell’esigenza di dar vita a un Archivio economico territoriale, simile ad istituzioni del genere presenti in Germania, con la collaborazione degli enti locali, primo fra tutte la Regione, delle stesse imprese e di organismi di rappresentanza degli interessi: in quella Conferenza si pose con forza  l’accento sulla situazione di particolare rischio cui sono soggetti gli archivi di impresa in conseguenza delle vorticose trasformazioni che si registrano nel settore della produzione. Gli archivi di imprese fallite restano privi di referenti, quando sia giunto a conclusione il procedimento fallimentare, molte imprese cessano la loro attività e imprese di piccole e medie dimensioni possono avere oggettive difficoltà a destinare voci di spesa per la gestione di un proprio archivio storico. In effetti, salvo la possibilità di conservarli negli Archivi di Stato, i quali però hanno già abbastanza problemi per la salvaguardia delle fonti statali, o presso qualche ente locale e alcune istituzioni culturali con vocazione specifica alla conservazione e valorizzazione delle fonti documentarie, gli archivi di impresa costituiscono la tipologia di fonte, di sicura e comprovata rilevanza ai fini della ricerca storica, più facilmente esposta alla possibilità di distruzioni o dispersioni. Lo stesso Centro per la cultura d’impresa organizzava a Milano nel 2001 un convegno sulla memoria dei soggetti economici che spingeva verso una collocazione degli archivi economici territoriali nell’articolazione del sistema archivistico nazionale. In concreto, però, si può soltanto segnalare l’evoluzione dell’Archivio storico Ansaldo che, nel 2000, si è trasformato in Fondazione Ansaldo - Archivio economico delle imprese liguri - Onlus con la finalità istituzionale di recuperare, conservare e valorizzare il patrimonio archivistico prodotto dalle imprese e, più in generale, dal mondo del lavoro, in Liguria: ciò riflette una attenzione particolare non già al singolo, seppur importante, archivio di impresa ma al sistema imprenditoriale locale nel suo complesso. Nel corso degli ultimi anni si è delineata anche, nel caso di imprese prestigiose, una tendenza a dar vita a musei aziendali, nei quali trova posto anche l’archivio storico (recente il caso della Ginori a Firenze), ma si tratta evidentemente di situazioni elitarie che non possono sostituire l’esigenza di interventi istituzionali.

Sotto il profilo giuridico si può rilevare che il nuovo Codice dei beni culturali, che è stato approvato nel 2004 e ha definitivamente abrogato la legge archivistica del 1963, si sia rivelato un’occasione mancata. Nulla si prescrive riguardo agli archivi economici territoriali. Nell’incongrua elencazione dei beni culturali dell’art. 10 manca ogni riferimento sia agli archivi di impresa - che, nonostante la specificità dei rischi cui sono soggetti, rimangono nell’ambito della casistica generale degli archivi privati per i quali è richiesta la dichiarazione di interesse culturale, purché rivestano “interesse storico particolarmente importante” - , sia alla storia economica e, mentre si citano i siti minerari e l’architettura rurale, nulla si dice dell’archeologia industriale. Fotografie, pellicole cinematografiche e supporti audiovisivi vengono considerati beni culturali solo ove abbiano carattere di rarità e di pregio, anche se poi nell’art. 11 vengono recuperati al concetto di bene culturale purché siano vecchi di almeno 25 anni, in quanto inclusi tra i beni che non possono uscire definitivamente dal territorio nazionale. Per le navi e i galleggianti basta un semplice interesse artistico o etnoantropologico, mentre per gli automobili e gli aerei, di cui sia vietata l’uscita dal territorio nazionale, si richiede che abbiano più di 75 anni e 50 anni si richiedono anche per beni e strumenti che interessano la scienza e la tecnica.
    
Non si è pensato a ridurre il termine per il versamento dei documenti ai rispettivi archivi storici che resta, pertanto, di 40 anni dall’esaurimento degli affari laddove in Europa prevale un termine di 30 anni e, talora, addirittura di 20. Il termine di 40 anni è comunque troppo lungo, non solo ai fini delle esigenze storiografiche, ma anche ai fini della conservazione fisica, specie per i supporti sensibili e per i documenti elettronici.  Risulta invece opportunamente stabilito in maniera esplicita il fatto che i beni degli enti pubblici rimangano sottoposti a tutela anche se muti la loro natura giuridica: in presenza della precedente normativa, che non diceva nulla in proposito, la questione degli archivi degli enti pubblici privatizzati era stata comunque da varie soprintendenze archivistiche risolta con l’immediata dichiarazione di notevole interesse storico.

Il Codice, pieno di ambiguità e mortificante per la salvaguardia delle fonti statali, conferisce invece maggiori poteri alle soprintendenze archivistiche che si avvantaggiano dell’estensione ad esse di poteri già previsti per le soprintendenze ai beni storico-artistici, architettonici e archeologici. Non è il caso di rilevare in questa sede le incongruenze o i casi di evidente errore materiale che derivano dal trattare le soprintendenze archivistiche alla stessa stregua di quelle delle belle arti, ma vale la pena di rilevare che non sempre si capisce come possano essere in concreto esercitati i nuovi poteri: l’art. 21, comma 4, per esempio, subordina all’autorizzazione delle soprintendenze “l’esecuzione di opere e lavori di qualsiasi genere su beni culturali”: cosa si intende per “opere” se ci riferiamo alle fonti documentarie? Probabilmente nulla, mentre per quanto attiene ai “lavori”, un’autorizzazione ha senso se implicano interventi sulla configurazione fisica degli archivi, come lo smembramento, lo scarto e il trasferimento in altra sede (interventi peraltro esplicitamente indicati nello stesso articolo) cui possono aggiungersi il riordinamento fisico delle carte e il restauro. Certamente non ha senso pretendere una autorizzazione, invece di una semplice comunicazione di cortesia, quando si intenda procedere a una rassegna o censimento di fondi archivistici o a un inventario che si basi su un riordinamento virtuale. Se consideriamo l’art. 21 in connessione con l’art. 169, che prevede sanzioni penali per opere illecite, avvertiamo chiaramente che l’estensione delle sanzioni ai beni archivistici avrebbe richiesto una più chiara configurazione rispetto ai beni artistici, architettonici o archeologici: è certamente opportuna la sanzione penale per la demolizione e per la rimozione non autorizzata di un fondo archivistico, ma le sanzioni sono previste anche per “modifica e restauro” oltre che per opere di qualsiasi genere, mentre non c’è alcun riferimento ai “lavori di qualsiasi genere”. Supponendo di far rientrare nel concetto di modifica il riordinamento delle carte, è sensato prevedere una sanzione penale per chi si sia preoccupato di riordinare e restaurare il proprio archivio solo perché non ha pensato a chiedere l’autorizzazione alla soprintendenza competente?
 
In passato si era spesso rilevato come, ai fini della conservazione delle carte, fosse più utile una politica di incentivazione che non di sanzione, spesso di fatto difficilmente applicabile. Ma alla legge 512/1982 sul regime fiscale dei beni di rilevante interesse culturale, che prevede detrazioni e altri vantaggi, non è stato dato alcun seguito, impedendone l’applicazione in assenza dei regolamenti di attuazione. Naturalmente, come sempre accade quando intervengono modifiche di carattere normativo, è necessario anche per il nuovo Codice dei beni culturali lasciar trascorrere qualche tempo per verificarne in concreto gli effetti.

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