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Intervista ad Alessandro Papetti
di Anna Maria Stagira
(realizzata il 19 marzo 2005)
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Prima parte
Seconda parte
Terza parte


A.M.S.:
Gli esterni sono esclusivamente i cantieri navali?

A.P.: No, adesso sto facendo anche gli esterni di città. Cominciando a dipingere gli esterni sono arrivato a dipingere anche dei cieli, qualcosa di più etereo. Prima i quadri dell’acqua erano comunque come degli interni perché anche se c’era l’orizzonte era un contenitore che poteva essere quasi uterino, nero, con figure nell’acqua…era sempre un interno. Forse adesso sono riuscito finalmente a dipingere gli esterni.

A.M.S.: E le navi?

A.P.: Anche lì, la mia passione per gli ambienti industriali. Ho avuto occasione e sono andato proprio a ricercare questi soggetti industriali e i cantieri navali, che sono impressionanti perché poi qui non si parla di un luogo chiuso come l’industria: è sempre un’industria ma a cielo aperto di dimensioni enormi, dove l’acqua c’è ma c’è anche il ferro, c’è tutto. Queste navi sono impressionanti, sono veramente impressionanti. Le vedi da lontano e sembrano dei giocattoli. Però, se vai in un bacino di carenaggio e ci cammini sotto, proprio sotto questo scafo e hai 40.000 tonnellate sulla testa, hai una suggestione particolare. Sono soggetti straordinari, veramente. Anche lì ho avuto l’occasione di un soggetto forte e contemporaneamente di un qualcosa quasi di etereo…perché c’è una grande fragilità dentro queste enormi navi. Sono lì ma vorrebbero andare altrove: un grosso mezzo che ti trasporta e che però è fermo, immobile perché ha un peso tale che fuori dall’acqua è un animale morto. Vede che c’entra? L’animale morto, la carcassa, l’archeologia industriale: quando facevo i primi soggetti industriali, i primi interni industriali, facevo un certo tipo di quadri che avevo chiamato Reperti e che andavano dall’oggetto industriale abbandonato al reperto archeologico, al fossile.

A.M.S.: Introducendo il tema dell’acqua ha cominciato anche a studiare la sequenzialità fotografica, filmica che evidenzia il movimento (penso ad esempio alla serie dei Trittici). Perché i luoghi di lavoro non sono stati oggetto di questa sua ricerca?

A.P.: Queste strutture sono luogo in cui agisco, contenitore inteso in questo senso. Il luogo in cui mi muovo. Sono io che mi muovo: non mi verrebbe da fare un trittico. Non perché lo sento immobile: lo sento vivo e mobile di presenze. E difatti penso che la mia pittura sia mossa perché è tutta abbastanza vibrante e in tensione. Di presenze in quel senso lì; però sono io che mi muovo in questo spazio e che sono lì dentro anche se poi non appaio proprio come figura e non c’è alcuna figura nello spazio, è vuoto.

A.M.S.: E infatti nei suoi quadri anche le macchine sono sempre ferme, in disuso. Ma le è mai capitato di entrare in fabbriche con macchine in movimento?

A.P.: Sono entrato una volta in un posto in cui c’erano le presse…ed era spaventoso perché sembrava di entrare nell’inferno. Era una fabbrica in provincia di Lecco che aveva almeno 100 anni. All’interno era tutto nero, sporco. Quando arrivavano giù le presse si sentivano queste botte bestiali …ed era difficile fare le foto perché io rimbalzavo e rimbalzava la macchina sul cavalletto perché con il suo movimento…saltavi! Lì c’era non certo un’immobilità: era pieno di gente che lavorava tra questi rumori assordanti. Però alla fine nel quadro è apparso uno spazio come gli altri, uno spazio vuoto, vuoto insomma…ho spiegato prima come non siano spazi vuoti per me.

A.M.S.: Quali sono stati i principali siti industriali che hanno ispirato le sue opere?

A.P.: Attorno al 1990 ho fotografato il porto di Genova. In quel periodo ho fatto questo ciclo di cui parlavo prima di 30-40 quadri che si chiamava Reperti e che erano, a differenza della visione grandangolare del soggetto, una zummata sul particolare. Ho fotografato il porto di Genova ma alla fine ho dipinto pezzi di lamiera arrugginita, particolari di oggetti, di catene, ad esempio, e poi qualche spazio interno industriale.

Nel 1996 ho fotografato molti interni nella zona di Lecco; ho visitato e fotografato più volte il porto di Rotterdam. E poi i tanti luoghi in cui occasionalmente, oppure programmando, sono riuscito a fotografare l’interno. Ad esempio sono andato in Olanda qualche mese fa perché la Corus, una delle più grosse industrie siderurgiche in Europa, mi ha commissionato per giugno un grande dipinto di un loro altoforno. E quindi lì ho fotografato tantissimo. Dalle industrie ho avuto molte commissioni. Mi hanno chiesto questi grandi quadri che poi hanno messo ad esempio nelle sale riunioni. Moltissimi quadri che ho fatto sono stati poi acquistati dalla stessa impresa, è capitato molto spesso. È bello che siano rimasti lì.

A.M.S.:Ha sentito da parte delle imprese una piena comprensione del suo modo di ritrarre i soggetti industriali?

A.P.: Sì, per fortuna. Anzi, capendo intelligentemente quello che più m’interessava mi facevano vedere la parte più antica dell’industria o mi mettevano a disposizione materiale e documentazione d’archivio.

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la fabbrica
Photo Gallery
  La rappresentazione dell'industria: interni di fabbrica a Lecco
di Barbara Cattaneo
  La fabbrica, casa dell'uomo
di Geno Pampaloni
(da Civiltà delle macchine, II, 1953)
 
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