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Giuseppe Dall’Arche, Molo K Marghera. L’altra Venezia. Con testi di Andrea Zanzotto, Gianfranco Bettin e Angelo Schwarz
Vicenza, Terra ferma, 2007, pp. 123, ill., € 35,00
Recensione di Adolfo Mignemi

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«Marghera – scrive Gianfranco Bettin, introducendo il volume – fin dalle origini, all’inizio del Novecento e poi nella fase più intensa e potente del suo sviluppo, dopo la Seconda guerra mondiale, è stata un sogno della modernità ma anche un incubo per molti di coloro che l’hanno vissuto».
Molti si sono cimentati a studiare e documentare la vicenda di questo lembo di Venezia sulla terraferma, spesso ricorrendo con eccezionale abilità anche allo strumento fotografico, ed ora a questo nutrito “archivio” – che non ha purtroppo un punto di riferimento preciso per chi volesse accedervi e studiarlo, né di conseguenza unitarietà e compattezza, salvo alcune opere a stampa –  si aggiunge la visione di Dall’Arche, fotografo di architettura, particolarmente impegnato nel campo della rappresentazione del territorio.
La sua ricerca è stata realizzata in una stagione molto strana e cruciale della storia di Marghera: a cavallo del Millennio, tra il 1994 e il 2004. «È la stagione della transizione – annota sempre Bettin –  in cui i segni del passato e le suggestioni tramontate o sorgenti di un futuro sospeso tra incertezze e possibilità, tra illusioni e velleità e progetti, si mischiano in modo quasi indecifrabile».
Ma come ha fatto Dall’Arche a restituire il senso ed il segno di tutto questo?
Egli ha guardato quello che resta di Marghera: «guarda, e fissa per noi, gru e cancellate, torri d’evaporazione e serpentine di scarico, giganteschi alambicchi e labirinti di impianti, di cunicoli, sterpaglie indomite e canali segreti e alberi fieri della propria resistenza, cumuli di minerali, carbone, polveri, zolfo, gessi, terre infiltrate dei più raffinati scarti di produzione del pianeta, e squarci di cielo, di notti – le notti fantastiche e inquietanti di Marghera! – e di mattine – le mattine sempre cariche di speranze e di timore di Marghera! – e i colori, quelli artificiali che invadono la grande scena industriale, sprigionati dagli impianti, da macchine che producono cose e sostanze, i tessuti della modernità, ma anche climi, odori, tinte […]. Non vi sono figure umane in queste fotografie. Ovviamente, la presenza umana è implicita, è ovunque».
Dall’Arche scrive la propria ricerca con tecnica e retorica fotografiche impeccabili. «Grazie alle riprese con dei negativi colore di grande formato – sottolinea Angelo Schwarz – l’emulsione non incombe con la sua materia, piuttosto ridà come “naturali” luci e atmosfere due volte artificiali: quelle che nella “realtà” illuminavano i soggetti e quelle che si vedono nelle fotografie. Ma non soltanto. Le fotografie in parola sono impeccabili grazie pure a un puntuale controllo della prospettiva, ottenuto con una fotocamera a banco ottico, il quale ha conferito una ulteriore credibilità ai soggetti fotograficamente rappresentati».
Porre in evidenza questi aspetti non è un di più da consegnare unicamente a riflessioni estetizzanti, irrilevanti ad un approccio storiografico alla documentazione: la storia si nutre dello spessore della scrittura in qualunque forma essa venga tracciata.
Di qui la constatazione della incredibile carica eversiva, della “pericolosità” di queste immagini, che non è azzardato porre in relazione con gli esiti nel campo degli studi della ricerca sviluppata, nel cuore della laguna, a Venezia un secolo e mezzo addietro, da John Ruskin. Tra le fotografie, osserva Angelo Schwarz, «ve ne è più d’una che ci ridà i ruderi di complessi e di installazioni industriali irrimediabilmente esausti, prima ancora che obsoleti»: le pietre dell’altra Venezia del Ventesimo secolo, gli elementi costitutivi di quell’approdo inesistente – il Molo K – che nessuna mappa registra ma che tutto a Marghera sembra rendere percettibile, manifesto, ossessivamente reale.
L’immagine fotografica, tipico documento storico prodotto dalla cultura dell’Occidente e della sua società industriale, sa con ineguagliabile maestria narrare e celebrare le moderne egemonie e le forme del potere, rappresentare gli aspetti, anche quelli più oscuri, delle sue anime, per quanto nelle forme criptate del verosimile, della realtà monumentalizzata.
La ricerca di Dall’Arche si muove in piena coscienza tra queste contrapposizioni e contraddizioni, senza mai lasciarsi sopraffare dal linguaggio narrativo prescelto.
Conclude infatti il volume un indice fotografico che restituisce una vera e propria guida alla visione delle immagini raccolte, restituendo le coordinate spaziali, i punti di vista delle singole riprese effettuate dal fotografo.
Una mappa di Marghera e dei suoi impianti industriali guida ai luoghi ove il fotogramma è stato realizzato consentendo di muoversi con sicurezza a chi voglia passare dalla visione/rappresentazione del documento alla comprensione/conoscenza della realtà che in essa è richiamata e interpretata dal fotografo. Decisamente una indicazione di metodo preziosissima che trasforma quanto poteva rimanere nell’ambito della ricerca formale – suggestiva, persuasiva ed inappuntabile – in un vero e proprio archivio storico della memoria visiva del territorio.

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