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Alessandro Portelli, Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo
Roma, Donzelli Editore, 2007, pp. 462, € 25,00
Recensione di Salvatore Vento

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il testo

Con la pubblicazione del libro di Alessandro Portelli gli appassionati di storia sociale ora hanno un testo fondamentale per approfondire temi e concetti di quel particolare segmento di studi storici chiamato “storia orale”. Si tratta di un campo d’indagine che i militanti della generazione del ’68 hanno cominciato a praticare quasi in maniera naturale, spinti dal desiderio di fare storia dal basso, non accademica né convenzionale. Sorretti da impulsi ideologici di critica radicale nei confronti di quelle istituzioni del movimento operaio che identificavano la storia con quella dei suoi gruppi dirigenti. Ronald Grele (ex direttore dell’Oral History Office della Columbia University) nell’introduzione afferma che la storia orale è stata, bene o male che sia, un progetto di nuova sinistra; negli anni settanta esplode una vera e propria svolta culturale in quanto la testimonianza orale è concepita non solo come documento sugli eventi del passato, ma come testo costruito dialogicamente, frutto dell’incontro tra due persone (intervistatore e testimone). In essa viene ricercata non soltanto l’esattezza della ricostruzione degli eventi, ma la rappresentazione che ne fa il narratore. Lo studio della memoria dell’evento è decisivo ai fini della conoscenza della soggettività della persona intervistata. Il problema di fondo consiste quindi nel capire i percorsi della memoria che nel racconto vuole farsi storia e del modo come la storia si cristallizza e si trasforma nella memoria. L’interesse della testimonianza, chiarisce Portelli, non consiste solo nella sua aderenza ai fatti ma anche nella sua divaricazione da essi, perché in questo scarto si insinua l’immaginazione, il simbolico, il desiderio.
Poiché si tratta di un volume che rende conto di lunghi anni di lavoro sulle fonti orali, e per un certo senso costituisce una sorta di autobiografia intellettuale, dobbiamo conoscere prima di tutto l’autore e lo facciamo attraverso le notizie ricavate dal suo blog.
Sandro Portelli è nato a Roma nel 1942 e insegna letteratura americana alla Facoltà di scienze umanistiche dell’Università la Sapienza. Svolge il singolare incarico di consigliere delegato del sindaco di Roma per la tutela e la valorizzazione delle memorie storiche della città; ha fondato il circolo Gianni Bosio, ha ascoltato i racconti delle borgate e dei quartieri popolari, dalle occupazioni delle case degli anni ’70 alla storia orale di Centocelle. «Rileggendo e traducendo i saggi raccolti nel volume –  dice Portelli – mi sono stupito nel rendermi conto di quanto tempo, lavoro e passione ho dedicato a una cosa che tanti oggi danno per obsoleta, e che chiamavamo classe operaia. Anche questa è storia».
Il libro comprende 4 capitoli: il primo riguarda i linguaggi (sulla diversità della storia orale, le sue rappresentazioni, la letteratura, la memoria e l’evento); il secondo è centrato sui temi della guerra (la strage di Civitella Val di Chiana, la guerra partigiana, i deportati ebrei romani); il terzo si riferisce alla città di Terni e alla sua fabbrica-simbolo, le acciaierie ora di proprietà della multinazionale tedesca Thyssen-Krupp (con particolare riferimento alla lotta contro la chiusura degli acciai speciali 2004-2005 e alle lotte contro i licenziamenti degli anni ’50); il quarto capitolo presenta gli studi sull’America tra i minatori di Harlan e tra gli appalachiani. Infine, l’ultimo capitolo intitolato Fine secolo, si estende dalla guerra in Vietnam fino al G8 di Genova del 2001. Un caso da manuale sui mutamenti della memoria, nell’immaginario collettivo di un gruppo sociale, è quello concernente l’uccisione, da parte della Celere, del giovane operaio Luigi Trastulli avvenuta a Terni il 19 marzo 1949 durante una manifestazione contro l’adesione dell’Italia alla Nato. Molti degli operai intervistati spostano la data dell’uccisione del loro compagno al 1953 nelle lotte contro i licenziamenti quando si verificarono scontri di piazza con la polizia. Si tratta, dice Portelli, di prodotti del funzionamento attivo della memoria collettiva; più ancora dell’evento il fatto storico rilevante qui è la memoria stessa. Io aggiungo che, forse, tale spostamento cronologico derivi più semplicemente dalla consapevolezza (di oggi) di considerare la lotta contro il Patto atlantico un errore degli anni degli scioperi politici.
Terribili i racconti dei reduci del Vietnam che ricordano le atrocità compiute: donne incinta violentate, torturate e uccise, la pratica del taglio delle orecchie, del pene, dei seni. Illuminante per capire il livello del degrado umano e della barbarie in cui gli uomini possono cadere, anche gli uomini della più grande potenza tecnologica: «Dopo due settimane che ero lì, racconta un reduce, cominciai a tagliare orecchie, portavo una collana di orecchie. Era il segno che ero un soldato capace».
Ancora l’Altra America, quella dei minatori e dei poveri, delle dure e spesso violente lotte sindacali. Nei testimoni intervistati emergono i ricordi della povertà, ma anche l’orgoglio per essere riusciti a contare sulle proprie forze. Nel momento della crisi delle miniere si sono salvati coloro che avevano un pezzo di terra da coltivare in quanto, almeno, avevano da mangiare. Essere poveri nel paese più ricco del mondo in cui vige il dogma della mobilità sociale e della responsabilità personale. Se la povertà è un problema sociale di una particolare zona vuol dire che i loro abitanti sono degli incapaci, se tutti gli appalachiani sono poveri, la colpa ricade su loro stessi. In questa situazione, la difesa dell’identità consiste nella richiesta (ai media) di far vedere anche quelli che, pur essendo appalachiani, vivono nel benessere.
Nel volume viene inserita anche una recente ricerca sul G8 genovese presentata a Oxford ad un convegno sulle tematiche generazionali nella storia europea. Secondo Portelli, Genova 2001 è forse il primo evento di massa dell’età delle nuove tecnologie. C’erano quasi più macchine da presa e macchine fotografiche che persone, il che fa di Genova uno degli eventi più minuziosamente documentati della nostra storia. Soprattutto, la maggioranza dei partecipanti era in possesso della nuova icona della contemporaneità, il telefonino. Si comincia col 17 luglio quando un genitore, il sindaco di Monterotondo (comune vicino Roma) Antonino Lupi, accompagna il figlio Bruno (che ha appena compiuto 18 anni) alla stazione diretto verso Genova. Bruno viene arrestato e condotto in carcere. L’atteggiamento di molte famiglie era un misto incerto di orgoglio per l’impegno dei figli e di preoccupazione di quello che poteva succedere in un momento di tensione e di scontro annunciato. Era cominciato come una festa il 20 luglio col corteo dei migranti e con presenze intergenerazionali. Molti studenti intervistati sono nati agli inizi degli anni ’80. L’identità del movimento è data dal gruppo di età che debutta politicamente, fra l’adolescenza e la prima giovinezza e Piazza Alimonda ribattezzata “Piazza Carlo Giuliani, ragazzo” esprime proprio questa identità giovanile. Tra le molte interviste a ragazzi, ragazze e genitori non poteva mancare quella a Haidi Gaggio Giuliani, madre di Carlo. Portelli riassume la sua testimonianza con queste parole: «Haidi non ha sofferto in silenzio, ma non ha mai alzato la voce ed è stata capace di esprimere il suo dolore e la sua perdita in un linguaggio che il nuovo movimento poteva capire e condividere, assumendo quasi un ruolo materno per il movimento, offrendo ai ragazzi una voce adulta capace di articolare i loro sentimenti».

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