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F. Chiapparino e R. Covino, La fabbrica di Perugia. Perugina 1907 - 2007
Perugia, Comune di Perugia, 2008, pp. 319
recensione di Stefano Morosini

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Il volume fa parte dei «Quaderni storici del Comune di Perugia», collana editoriale voluta dall’amministrazione a stimolo e sostegno della pubblicazione di una serie di ricerche sulla città e nata dall’attenzione che la stessa ha nel delineare i caratteri che fondano la storia cittadina e nell’individuare le origini storiche, culturali, artistiche, sociali ed economiche, passate e presenti, oltre alle possibili direzioni future. In continuità con questo spirito, la ricerca sulla Perugina di Francesco Chiapparino e Renato Covino delinea quanto forte sia l’identificazione fra città e azienda, e quanto tale binomio abbia reciprocamente segnato l’evoluzione lungo un secolo di storia, e oltre.
La storia della Perugina è uno dei casi industriali più studiati in Italia negli ultimi venti anni, sia grazie al riordino e all’accessibilità dell’archivio storico, sia per la significatività di un’impresa che ha vissuto una straordinaria crescita, resa possibile innanzitutto per l’opera della famiglia Buitoni, attraverso cinque generazioni. Esauritosi, alla fine degli anni sessanta, il ruolo della famiglia (e più in generale delle forme di capitalismo familiare che essa molto bene rappresentava), è avvenuto il passaggio ad un importante gruppo finanziario italiano, la Cir di Carlo De Benedetti, e quindi alla multinazionale (e oggi transnazionale) Nestlè.
Questa traiettoria, che trae le proprie origini addirittura dal 1827, con la nascita, a San Sepolcro, del primo pastificio Buitoni, e quindi con la prima apertura, nel 1878, di un primo laboratorio a Perugia, in via Fiorenzuola, intreccia la crescita e le ramificazioni di un’azienda al suo ruolo nella città, quale importante veicolo di crescita, affermazione e realizzazione personale per chi ha lavorato in una fabbrica così profondamente radicata sul territorio, non solo dal punto di vista nominale.
L’analisi svolta da Chiapparino e Covino si sofferma sulla figura centrale di Giovanni Buitoni (1891-1979), il più importante e dinamico industriale perugino della prima metà del Novecento, mettendo in luce la sua capacità di portare una piccola realtà artigianale al centro del panorama industriale italiano ed europeo nel settore dolciario. Giovanni Buitoni ha ideato e quindi sempre più affermato un vero e proprio brand cittadino: dando centralità al grifone, simbolo di Perugia, su confezioni ed etichette, ha saputo universalmente caratterizzare i prodotti della sua azienda come frutto della tradizione dolciaria della città.
La crescita della Perugina vive anche momenti di difficoltà, sia per il contesto macroeconomico, segnato dalle due guerre mondiali, o dall’artificiosa rivalutazione della lira operata dal fascismo con la battaglia di “quota novanta”, o dalle difficoltà di importazione di materie prime (cacao) derivate dalla politica autarchica della seconda metà degli anni Trenta. Difficoltà si ebbero in anni più recenti con i cambiamenti strategici negli organigrammi dirigenziali e produttivi, e con le evoluzioni operate nelle tecniche produttive, con la sempre maggiore automazione della preparazione dei prodotti.
L’analisi non si limita tuttavia alla disamina delle pratiche interne all’azienda, ma permette anche una lettura diacronica del contesto sociale, economico e politico sia della città di Perugia, che di un più ampio ambito regionale, nazionale e internazionale. L’affermazione della Perugina avviene anche grazie a innovative strategie di marketing, con le indovinate campagne di raccolta di figurine dei “Quattro moschettieri” negli anni trenta, e con sempre più ricchi concorsi a premi. Ancora, l’analisi intreccia questi passaggi fondamentali della crescita della Perugina con l’esperienza vissuta in prima persona dei lavoratori, fieri di appartenere all’azienda, soddisfatti dalla generosa politica retributiva e dalle misure di workfare che essa garantiva, e ben coscienti che la fabbrica di Perugia ha per molti versi guidato i processi di cambiamento sociale ed economico in Umbria, rendendola oggi un’area d’eccellenza per livello di integrazione fra sviluppo economico e qualità della vita.
Nella parte finale del lavoro gli autori si soffermano sulla fase più recente, con il definitivo abbandono della proprietà dell’azienda da parte della famiglia Buitoni e il passaggio alla Cir e quindi alla Nestlè: tale analisi rappresenta un esemplare caso di studio dell’enorme cambiamento che la grande industria italiana (non solo quella alimentare) ha vissuto negli ultimi decenni.
In definitiva il volume La fabbrica di Perugia appare una buona sintesi fra un’analisi diacronica di tipo quantitativo, fondata su serie di dati di tipo numerico, e un’analisi di tipo qualitativo, che all’indagine di bilanci e tabulati unisce un più ampio sguardo antropologico, attento ai riflessi umani delle variabili economiche, nella tradizione della migliore scuola di storia economica.

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