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Milano 1947-2007. Idee per una Casa della storia
recensione di Francesca Tamanini

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La tanto attesa costituzione di un Laboratorio-Museo di Storia Contemporanea a Milano che il direttore delle Civiche raccolte storiche Roberto Guerri auspicava insieme allo storico Massimo Negri sin dal 2000, e che trova fondamento teorico nel libro dei due studiosi sopraccitati Nuovi Musei per una Storia Contemporanea in Europa (2002), ha trovato finalmente concretizzazione negli spazi espositivi del Museo cittadino di via Sant’Andrea con la mostra Milano 1947-2007. Idee per una casa della storia, a cura dei primi, promossa dall’Assessorato della cultura del Comune e in collaborazione con MuseoLab, il Centro per la cultura di impresa e le molte imprese private lombarde e non solo.
Attraverso questo, che potremmo definire inusuale, evento espositivo a carattere sperimentale (certamente una novità non solo per il panorama museale milanese ma anche italiano), si è tentato di indagare e narrare la storia del capoluogo lombardo dal secondo dopoguerra ad oggi concentrandosi prevalentemente sulle diverse sfaccettature della società meneghina, inevitabilmente legata a certi topoi della città, anche molto diversi tra loro, che ne hanno definito il carattere.
La mostra, che si dichiara espressamente un esperimento, un prototipo, in vista di una futura costituzione della Casa della storia di Milano – per la cui sede è stata per ora individuata l’ex-centrale Enel di via Bramante – si pone come obiettivo l’indagine dei modi e dei temi possibili – il come ed il cosa – della narrazione della storia sociale, economica, politica e urbanistica della città: non un’esposizione fine a se stessa, ma un possibile nuovo topos in cui i cittadini milanesi possano ritrovare la propria identità e il proprio passato per poter comprendere i molti perchè del presente.
Così come espresso chiaramente nel testo di Guerri e Negri, seguendo la strada in parte già tracciata da alcuni importanti musei di storia contemporanea mittel-europei (l’Haus der Geschichte di Bonn, la Fondazione Anno di Amsterdam e la Casa del terrore di Budapest, ad esempio) che, sin dal finire degli anni ottanta si interrogano sul peso e sul valore degli avvenimenti di portata mondiale che hanno segnato la seconda metà del Novecento, compito della Casa della storia è, come spiega lo stesso direttore, «l'educazione delle nuove generazioni» mediante la «conoscenza della storia recente del nostro Paese e in particolare della nostra città attraverso quei grandi strumenti di comunicazione e di costruzione dell' identità collettiva che sono i musei». L’idea di Guerri non è quella di creare un museo della memoria ma «quello di dar vita a una nuova istituzione culturale che, in stretta collaborazione con le varie associazioni che a Milano si occupano di storia contemporanea, diventi uno spazio anche fisico di conoscenza, di confronto e di discussione», per non dimenticare. Ed in questo senso, proprio il museo, istituzione che dovrebbe essere assai lontana da ogni ideologia, il cui compito primario è la trasmissione della conoscenza, si configura quale medium esemplare tra passato e presente.
L’allestimento dell’esposizione, realizzato su progetto dell’architetto Valentina Potzolu, si articola in sei sezioni:
- I riti di Milano
- Milano laboratorio politico: 1950-2000
- Album di famiglia
- Milano forma urbis
- I milanesi
- Commiato
in cui il visitatore, muovendosi in una sorta di dedalo total-white, inaspettatamente non trova solo testimonianze tangibili – i segni - della storia della città, ma viene coinvolto in uno spazio dinamico caratterizzato da atmosfere che, forse provocatoriamente, appaiono anche molto contrastanti tra loro: il teatro La Scala e le coppe campioni delle rivali Milan e Inter, il rito dell’aperitivo e la Terrazza Martini, i mitici concerti degli anni settanta, il supermercato Esselunga e la pompa di benzina Agip, la Fiera Campionaria, la Borsa e le grandi industrie milanesi (Pirelli, Alfa Romeo , Breda e Bliss); la strage di piazza Fontana, il manifesto di Camilla Cederna su «L’Espresso» nel 1971, l’operazione “mani pulite” e i casi Di Pietro e Berlusconi. E ancora: i romanzi gialli e noir, la stampa e le telecomunicazioni, i filmati di vita quotidiana degli anni 1957-1975 (raccolti dall’Archivio di Storie digitali), la riedizione di alcune immagini tratte dalla mostra L’occhio di Milano (Rotonda di via Besana, 1979) e la Milano del volontariato. Non poteva mancare, infine, in una città che sta assumendo sempre più un carattere multietnico, la riflessione sul problema dell’integrazione che potrebbe avvenire anche mediante la revisione architettonica e urbanistica del nucleo urbano.
Sempre sulla scia dei nuovi musei europei, il visitatore, dopo essere stato trascinato in “una sorta di zapping intellettuale e sensoriale”, per alcuni istanti diventa protagonista, sia per mezzo di alcune interazioni multimediali che ne coinvolgono totalmente i sensi sia, infine, nell’insolito invito a lasciare alla “casa” un oggetto personale, un caro ricordo, un simbolo, destinato a costruire una nuova memoria perché anche un oggetto qualunque qui può diventare storia, mutuando il programma museale svedese Samdok (acronimo di coordinamento, contemporaneità e coordinazione) il cui slogan è “collezionare oggi per il domani”. L’idea anglosassone del neighborhood, del museo che si apre in tutto e per tutto alla propria comunità, in questi spazi trova, dunque, completa realizzazione dando vita, così, a quel meccanismo di partecipazione attiva del pubblico con donazioni, attività di volontariato, sponsorizzazioni, al fine di diventare strumento di crescita culturale.
Citando la studiosa Maria Clara Ruggeri Tricolori (I fantasmi e le cose, ed. Lybra 2000) potremmo definire questo modo di procedere «uno spostamento dalla vita quotidiana a quel mondo “a parte” che è il museo» in cui gli oggetti perdendo il loro status materiale, diventano «strumento di godimento estetico, di riflessione storica, di un orgoglio nazionale generalizzato a tutte le classi»: un’opportunità, questa, il cui rischio è quello di elevare indistintamente qualunque «documento» a «monumento»: che sia questo il caso dei «pettini pressofusi in plastica» esposti pomposamente in una vetrina quale simbolo della ricerca scientifica italiana?

Al di là di questa breve considerazione, in questo primo tentativo museale l’esposizione verte ovviamente solo su alcuni degli aspetti della storia di Milano, quelli più cari, immediati e vicini alla comunità – potremmo dire politically correct – tralasciando invece altri spunti di riflessione. Come ha affermato lo stesso Guerri mancano, per esempio, il flusso – mai più interrotto – dell’immigrazione meridionale e del nord-est, il ruolo dei centri sociali, il mondo giovanile, l’influenza della Chiesa ambrosiana, le lotte sindacali e la Milano dei bambini che, ci auguriamo, vengano eventualmente vagliati nelle prossime edizioni. In maniera perentoria, invece, sono state escluse tutte quelle espressioni artistiche riguardanti il mondo dell’arte, della moda, e del design benché la mostra sia stata sponsorizzata dalla casa di moda francese Hermès e Milano sia nota quale città-simbolo della creatività nel mondo. Una scelta decisa e consapevole che porta volutamente la Casa della storia ad intrecciare relazioni con gli altri musei cittadini, una sorta di rete dei musei del XX secolo, come il Triennale Design Museum, il Museo di fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo e, ormai prossimo all’apertura, anche il Museo del Novecento, con l’intento, auspichiamo, di fornire al pubblico una lettura a 360° dei fatti.
Seppur di sicuro effetto, non possiamo però ignorare il richiamo, nella modalità espositiva-espressiva dell’allestimento della Potzolu e nella scelta degli oggetti, alla mostra Annisettanta. Il decennio lungo del secolo breve (Palazzo della Triennale di Milano, 2007/08), che proponeva, con ambientazioni molto evocative, una visione del decennio in questione secondo una prospettiva storica, artistica, culturale e sociale. Nella scelta dei contenuti, invece, la Casa della storia pare proprio prendere spunto dal libro di Aldo Nove Milano non è Milano (ed. Laterza 2004), in cui la città viene narrata secondo una serie di spot che ne fissano le peculiarità e di cui, non a caso, è stato ripreso uno stralcio del testo quale didascalia per illustrare la Fiera campionaria.
Benché l’evento, proprio per le caratteristiche delineate poco sopra si configuri come una scommessa per la città, è doveroso sottolineare, che sono state portate in mostra solo quelle istituzioni cittadine (università ed ospedali) a carattere privato, in un momento in cui le istituzioni pubbliche milanesi di grande tradizione, faticano drammaticamente, a causa della congiuntura economica, a tenere alto il proprio prestigio.
Per offrire al pubblico una lettura più completa della città, è stata organizzata a latere una rassegna cinematografica “La metropoli controluce” (a cura di Pierfranco Bianchetti), che ripercorre, dagli anni cinquanta ad oggi, sguardi anche dissimili sulla città e i suoi cittadini; infine, il visitatore potrà colmare l’assenza del catalogo, dovuta al carattere sperimentale dell’evento, portandosi a casa la trascrizione sommaria in inglese dei pannelli o scaricandosi dal sito del Museo di storia contemporanea le pagine informative con testo in italiano.

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