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L'archivio storico Peroni: intervista a Daniela Brignone di Giuseppe Paletta (realizzata il 21 dicembre 2004)

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Parte prima
Parte seconda
Parte terza
Parte quarta

G.P.: Dal tuo racconto traspare il venir meno della famiglia e dell'affezione all'impresa che ne era il blasone. In parallelo non c'è stata l'emersione di un management interno che abbia fatto della storia dell'impresa una propria opzione.

D.B.: No, non c'è mai stato. Non c'erano dei manager con carta bianca: c'era la proprietà operativa. Adesso siamo in una fase di transizione, quella situazione è finita, non so se ciò è atipico.

G.P.: Non è atipico, si verifica in casi in cui la famiglia è stata molto presente, troppo presente, come se il mondo dovesse finire con lei.

Ora, naturalmente si tratta di comprendere cosa succederà: se sarà uno dei luoghi della produzione della birra per un'impresa che ha il suo cuore altrove, o se invece si vorrà che essa non sia semplicemente una fabbrica ma conservi un'identità specifica.

D.B.: Sì, è la battaglia del futuro, ma qui entriamo in un campo piuttosto delicato a cui tra l'altro non ho nemmeno risposte precise perché non è il mio campo specifico.

Il compito di un archivio storico o di un museo aziendale è quello a mio parere di presidiare la storia e la cultura dell'impresa, che è anche cultura di un prodotto, nel caso birrario. L'Archivio e il Museo Peroni vogliono essere un luogo di formazione e di trasmissione culturale, per l'impresa, per la comunità scientifica, per i consumatori.

Di fronte alla biblioteca conservata in sala studio, con la sezione birraria, la sezione dedicata ai musei d'impresa, la sezione sulla storia della pubblicità italiana, la collezione delle gazzette ufficiali dalla fine dell'Ottocento, la collezione dei bicchieri Peroni dalla fine dell'Ottocento, i visitatori specialmente stranieri rimangono a bocca aperta: il fatto stesso che l'Azienda si presenti con queste credenziali costituisce a mio parere un bel biglietto da visita per l'impresa.

G.P.: Se esiste una sensibilità in tal senso, la multinazionale potrebbe valorizzare la rete degli archivi delle imprese che sono entrate a farne parte. Tu parlavi del museo di Pilsen; quello della Peroni è un altro centro di identità; un altro sarà in Sud Africa...quindi, perché non metterli in relazione seguendo una strategia glocal: sposare le identità locali con una flessibilità internazionale...può diventare un progetto culturale. Magari si riesce a fare un ragionamento opposto a quello della Nestlè, che invece è una multinazionale che distrugge le identità locali.

D.B.: Però come mai non l'ha fatto con la Perugina? In effetti vi sono in questo campo comportamenti assai diversi, ma è un tema che forse esula dal nostro campo d'interesse.

G.P.: Mi ricordo del caso della Poretti: è stata assorbita dalla Carlsberg che ha lasciato sopravvivere solo due o tre marchi dell'impresa originaria...

D.B.: Beh se SABMiller diventasse una multinazionale culturale, all'insegna del glocal, sarei felice. Ma è tutto da vedersi: non ho idea di cosa succederà in questo campo.

G.P.: In conclusione, il museo della Peroni è l'espressione dell'identità forte di una famiglia così radicata nella propria impresa da non aver costruito una dimensione manageriale. Quando la famiglia ha dovuto fare un passo indietro, è rimasta l'identità allo stato puro, cioè un museo, che non aveva però più punti di riferimento.

D.B.: Credo che la questione sia più complessa. Certo tu apri una riflessione sui difetti del capitalismo familiare italiano, però questo va inserito nel quadro dell'espansione delle multinazionali, entrate massicciamente negli anni settanta nel mercato alimentare italiano.

Se prendiamo il settore birrario italiano, solo la Forst di Merano che possiede anche la Birra Menabrea sono italiane. Le altre birre a tutti note Dreher, Moretti, Ichnusa – sono ormai marchi acquisiti da multinazionali.

La battaglia per sopravvivere sul mercato era diventata molto dura negli ultimi anni. La competitività di un'azienda familiare italiana in questo tipo di mercato è dura da difendere: c'è chi vende lo stesso prodotto da Nairobi ad Hong Kong. Insomma, si tratta di problemi strategici di dimensioni ben più ampi e di quelli connessi alla promozione della cultura d'impresa. Anche a me, come vedi, capita in certi momenti di ragionare come l'impresa e di comprendere che l'ambito della mia attività può non essere una priorità!

Comunque spero di essere riuscita a presentare la realtà in cui lavoro, che comunque esiste, è aperta al pubblico, è disponibile alla ricerca, a visite, a approfondimenti, a visite di gruppo, tesi, per cui è viva e vegeta. Se fosse a piazza di Spagna a Roma sarebbe meglio, ecco, un po' più visibile e fruibile, ma non si può avere tutto dalla vita!

G.P.: E che è costantemente alla ricerca di un ruolo all'interno dell'impresa.

D.B.: Sì, sicuramente, essendo strettamente legata all'impresa, non avendo una sua identità autonoma, è legata alle sue fluttuazioni. La cosa importante è che ci siamo, andiamo avanti, stiamo avvinghiati alle gambe dell'impresa nei momenti belli e nei momenti brutti, con una certa solidarietà non solo natalizia!

Immagini per gentile concessione dell'Archivio storico Peroni

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