english version
home
editoriale
primo piano
scheda
punti di vista
atti e analisi
recensioni
link
archivio
autori
forum
credits
primo piano

Cultura d’impresa: il pericolo della retorica
di Giuseppe Paletta

Ingrandisci
il testo

Lo scorso marzo il “Sole 24 ore” ha presentato una ricerca sul tema “Cultura d’impresa; significati, valori e prospettive” commissionata da Confindustria a Gfk Eurisko. A un campione di cittadini, imprese e imprenditori sono stati posti quattro quesiti: cosa intendono per Cultura d’impresa (CDI) in Italia; come essa si articola e in quali ambiti è ritenuta più efficace; quali sono i suoi punti forti e deboli nel nostro Paese; quale il suo futuro. Le risposte hanno identificato la CDI come: capacità dell’impresa di farsi carico di altri obiettivi, oltre il profitto; capacità di integrarsi in modo consapevole nel sistema economico/sociale; capacità di innovazione di prodotto/processo. Protagonisti della CDI risultano essere i dipendenti/lavoratori, i clienti, la comunità/la realtà locale, gli azionisti/i proprietari, i consumatori e l’ambiente mentre i valori di base della CDI vengono identificati con la creatività/innovazione, la responsabilità, l’onestà, l’organizzazione, l’efficienza, l’affidabilità, l’entusiasmo, il rispetto, la lungimiranza. Infine, alla domanda Quali attori dovrebbero in particolare accrescere la propria Cultura d’impresa? il campione risponde: la Pubblica amministrazione, i politici e i partiti politici, il sistema economico, gli imprenditori.

E qui scatta il sospetto che il quadro delineato presenti qualche grave errore di prospettiva. Se la cultura d’impresa è assunta a panacea in una società complessa qual è quella in cui viviamo, nasce il dubbio che gli intervistati omologhino la società all’impresa. La società moderna è invece una costruzione plurale e accanto alle istituzioni economiche, essa comprende quelle che promanano dallo stato, da credi religiosi, da associazioni di interessi, dalla comunità internazionale, ecc. Questo secondo gruppo non trovano la propria ragion d’essere nel profitto, ma fa volta volta riferimento alla giustizia, alla fede, alla tutela dello status, alla convivenza pacifica, e quant’altro. Certo è importante che riflettendo sul tema della cultura d’impresa gli imprenditori riconoscano la presenza di altri valori che, oltre al profitto, possono indirizzarne il comportamento, ma la redditività e l’equilibrio economico rimangono valori irrinunciabili per le istituzioni economiche, mentre non possono esserlo per le altre: le imprese sono nate per produrre e accumulare ricchezza; le istituzioni pubbliche hanno il compito di distribuirla in modo equo così che l’azione degli attori economici e sociali possa svolgersi in un quadro quanto più possibile libero da tensioni. A tale fine nascono culture amministrative, culture della cooperazione internazionale, culture religiose che regolano in modo legittimo ed efficace l’azione delle istituzioni non commerciali. Ritenere che taluni valori siano appannaggio esclusivo del proprio ambiente di riferimento e che lo stato di crisi del Paese possa essere risolto esportando questi stessi valori in ambienti che ne sono privi (la pubblica amministrazione, i partiti politici, le forze armate e, perché no, le organizzazioni religiose piuttosto che le associazioni di volontariato) significa commettere un duplice peccato di superficialità e di orgoglio. Soprattutto, significa fare un pessimo servizio alla cultura d’impresa chiamandola a sostenere sfide che essa non è strutturalmente in grado di affrontare. Significa anche sottovalutare quanto le altre culture hanno contaminato la cultura d’impresa (si pensi alle procedure di qualità o ai sistemi di garanzia del cittadino-lavoratore) determinando in essa una vigorosa evoluzione.

Riflettere oggi sulla crisi del Paese significa chiedersi , imprenditori e non, in quale punto le culture amministrative hanno deviato dal loro corso e il nucleo sostantivo della tutela della legittimità e del diritto è degenerato in immobilismo e vessazione del cittadino. Parallelamente, significa sforzarsi di comprendere con grande onestà intellettuale dove il connubio tra pubblica amministrazione e impresa ha generato effetti perversi sulla tenuta dello stato di diritto e sulla trasparenza del mercato. Un Paese gravato da una crisi strutturale e valoriale qual è il nostro non può uscirne di colpo con ricette facili. É necessario un processo lungo e faticoso nel quale le imprese devono svolgere un ruolo di avanguardia portando un contributo di intelligenza, moralità e responsabilità. In questo senso, la cultura d’impresa diventa uno strumento potente per rigenerare e rimettere in azione altre culture ora appannate o incrinate, ma altrettanto necessarie ad una riforma della società.
Torna indietro

 
altro in primo piano
 
home editoriale primo piano scheda punti di vista atti e analisi recensioni link archivio autori credits


Copyright 2007 © Fondazione Ansaldo, Centro per la cultura d'impresa