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La Fondazione Piaggio: intervista a Tommaso Fanfani
di Giuseppe Paletta
realizzata il 25 maggio 2007
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Le motivazioni originarie
Tra pubblico e privato
La governance
Il rapporto tra fondazione e impresa
Riferimenti bibliografici

 

G.P.: Ti ringrazio innanzi tutto per la chiarezza e la completezza della tua introduzione che mi consente di rilanciare su singoli aspetti dei temi sviluppati.
Fondazione, archivio e museo: qual è la loro relazione giuridica?

T.F.: La Fondazione è l’unico soggetto giuridico. Ha un riconoscimento regionale, dispone di un conferimento iniziale e vive grazie al finanziamento dei soci: il 50% da parte dell’impresa, il 50% da parte dei due enti locali. Inoltre l’impresa ha dato l’immobile in comodato d’uso gratuito alla Fondazione, Il comodato ha durata trentennale,. Tutto quello che si vede nei locali del museo e l’archivio sono di proprietà di Piaggio. La Fondazione organizza questi beni culturali, li gestisce e li amministra.

G.P.: Quindi l’impresa ha messo a disposizione, come dire, i fattori della produzione culturale e la Fondazione li utilizza per organizzare una parte sostanziale della propria attività.

T.F.: Esatto. Infatti le attività che la Fondazione svolge nascono da scelte autonome dell’istituto, indipendentemente da quelle che possono essere diciamo le esigenze e le aspettative dei soci. É chiaro che c’è un consiglio di amministrazione in cui il presidente, una volta all’anno presenta le linee programmatiche dell’attività e ciò garantisce la condivisione, rimane come costante mai messa in discussione la totale autonomia della Fondazione. C’è anche da dire che l’impresa si fa carico della manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile e del suo funzionamento, manutenzione (ricordiamo che il Museo e gli uffici utilizzati dalla Fondazione coprono una superficie di 2500 mq!), personale, tutto quanto. La Fondazione ha un suo budget che deriva dal contributo annuale dei soci ed è destinato esclusivamente alla realizzazione dell’attività.

G.P.: Bene, dunque è chiaro che l’investimento dell’impresa è largamente eccedente rispetto alla quota nominale del 50%.
Passiamo ora a un altro tema. Tu hai accennato prima alla questione fondamentale dell’autonomia culturale della Fondazione. Essa ovviamente è garantita da una governance interna: vuoi descriverla?

T.F.: La struttura ruota tutta intorno al consiglio di amministrazione che nomina un presidente scelto per statuto tra i quattro consiglieri designati dall’impresa. Il vicepresidente, sempre per statuto, è scelto tra i consiglieri di nomina pubblica, così come il presidente del collegio dei revisori. Dal punto di vista della governance dell’ente diciamo che tutto deriva dal consiglio d’amministrazione, con un notevole margine di autonomia sull’operato del presidente a cui il Consiglio ha affidato ampie deleghe di governo.
É chiaro che ciò è il derivato dell’esperienza che questa fondazione ha sviluppato dalle origini ad oggi. Non c’è mai stata alcuna interferenza da parte dell’azienda o da parte dei soci sul funzionamento della Fondazione. Andando più sul terreno dei contenuti, ci siamo dati pochissime regole relative all’uso dei nostri locali: non ospitiamo manifestazioni sindacali, manifestazioni politiche o confessionali; questi sono gli unici limiti che ci siamo posti, per il resto la governance della Fondazione ruota attorno al presidente che, depositario – com’è naturale che sia – della fiducia del Consiglio, in buona sostanza è quello che dà le direttive e cura gli aspetti gestionali e tutto il resto.

G.P.: Dunque è una governance che si fonda, sulla persona del presidente e sulla sua autorevolezza. D’altro canto nella situazione contingente il presidente, che sei tu, è il soggetto che ha avviato e realizzato il progetto.

T.F.: Si, bisogna dire che per i primi tre anni, dal 1994 fino alla sua morte il 13 dicembre 1997 il presidente della Fondazione è stato lo stesso Giovanni Alberto Agnelli. Allora la Fondazione disponeva di un comitato scientifico molto autorevole che io stesso avevo promosso nel 1994 e di cui ero presidente. Ne facevano parte Salvatore Settis, attuale direttore della Normale, Riccardo Varaldo e, sempre dell’ambiente pisano, il Sovrintendente di allora che era Gianna Piancastelli

G.P.: Dei beni archivistici immagino

T.F.: Dell’intero comparto. Nelle sovrintendenze provinciali non c’è una distinzione come quella che trovi a livello regionale. Qui il sovrintendente ha competenza sui monumenti, sulle gallerie d’arte e sulla conservazione dei beni archivistici. Nel Comitato scientifico c’era poi Pier Salliot che allora era uno dei direttori della Villette di Parigi, c’era Autieri, ex dirigente di Fiat. Ricorda che Giovanni Alberto era figlio di Umberto Agnelli, quindi manteneva un filo diretto con Fiat. C’era ancora Marco Dezzi Bardeschi, architetto, professore di architettura all’Università di Firenze ora al Politecnico di Milano, e Stefano Trumpi informatico che attualmente credo abbia ancora la responsabilità nel G8 sulla informatizzazione del continente africano. Era un comitato scientifico di altissimo livello, anche perché Giovanni Alberto Agnelli non esercitava un indirizzo diretto sull’attività culturale della Fondazione: lui era il presidente ma delegava il comitato scientifico a fare le proposte che il consiglio di amministrazione le realizzava. In quel momento c’era anche un direttore generale che seguiva soprattutto la costruzione del museo, la parte procedurale, il finanziamento pubblico e privato e dava seguito alle delibere consigliari sugli eventi. Con la morte di Giovanni Alberto Agnelli questo assetto si è molto modificato. Il comitato scientifico per una serie di diverse ragioni è stato eliminato fin dal 1997. Il comitato andava progressivamente svuotandosi: tutta la governance della Fondazione veniva avocata dal consiglio e dal direttore generale. Questo avviene grosso modo nell’anno che precede la morte di Giovanni. Alla sua morte, (13 dicembre 1997) gli sono subentrato (marzo del ’98) e quindi praticamente c’è una continuità alla presidenza tra i due soggetti che con competenze diverse avevano avviato la Fondazione. Naturalmente io do alla Fondazione stessa un’impostazione orientata alla totale autonomia dell’ente rispetto all’azienda, anche perché Giovanni era presidente dell’impresa e aveva voluto come direttore generale una persona che proveniva da questa. Per me invece era importante accentuare il carattere culturale nell’operazione. Il direttore generale poi, per una serie di motivi esce dall’ente tra il 2000 e il 2001 e il consiglio, da quel momento e in maniera temporanea, affida al presidente le deleghe che fino ad allora erano state prerogativa del Direttore.

G.P.: Il presidente ha dunque un profilo da amministratore delegato. Il comitato scientifico che era un soggetto rilevante nella prima fase, scompare e quindi tutto si focalizza sul dialogo tra il presidente e i tre soci.

T.F.: Si, è così. Naturalmente il presidente è una cerniera tra l’azienda e gli enti pubblici, quindi è chiaro che il suo ruolo si fonda su un rapporto fiduciario solido, perché altrimenti non si va molto lontano.

G.P.: Nel tempo il numero degli attori della governance si è ridotto.

T.F.: Sì, il comitato scientifico non c’è più, il direttore generale sostanzialmente non c’è più.

G.P.: Ti farò una domanda cattiva.

T.F.: Vai, sono sempre belle le domande cattive.

G.P.: Non ritieni allora che possa insorgere un problema di continuità? Quando le strutture diventano più rarefatte, come in questo caso, le fasi di successione diventano più delicate. Occorre investire più energie per formare soggetti in grado di garantire la continuità dell’istituzione.

T.F.: Non è una domanda cattiva

G.P.: É onesta

T.F.: Devo dire che la Fondazione potrebbe camminare con le sue gambe, nel senso che, fermo restando il rapporto fiduciario con i soci e la continuità dei contributi, l’istituto ha un suo staff in cui mi sono preoccupato di dividere le competenze. C’è per esempio chi si è formato per la gestione dell’archivio: da quando è aperto al pubblico, vale a dire dal 2000 ad oggi, il nostro archivio storico ha consentito la preparazione di 45 tesi di laurea, ha rappresentato un deposito straordinario e privilegiato per molte pubblicazioni, per molti articoli, per molte ricerche a diverso livello, di ricercatori sulle tematiche di amministrazione, di contabilità aziendale, di gestione, organizzazione, delle relazioni interne e quant’altro. É fonte per pubblicazioni e ricerche di carattere più legato al prodotto, quindi alla storia di Vespa: la Vespa nel cinema, la comunicazione, la storia della comunicazione, l’evoluzione del design. C’è una parte del personale che ha raggiunto una competenza ben consolidata su un archivio la cui consistenza è veramente importante: circa 4.000 filze, 21.000 fascicoli del personale ancora da catalogare, 80.000 disegni che l’azienda ci ha trasferito recentemente, punta di un iceberg, visto che i disegni che potremo acquisire si avvicinano al milione di pezzi. Ci sono poi altri collaboratori che si occupano del parco veicoli dato che siamo costantemente mobilitati con eventi esterni. In questo momento ci sono alcuni spazi vuoti nel museo perché siamo impegnati nell’esposizione di Tokio sull’arte e la cultura italiana, un nostro veicolo storico e molte illustrazioni pubblicitarie d’epoca sono esposte temporaneamente all’istituto italiano di cultura di Hanoi e siamo in molti altri eventi nazionali (al Senato una settimana fa è stata inaugurata una manifestazione che espone anche la Vespa del film Vacanze romane). L’unità di personale che segue le attività della Fondazione e gli eventi esterni ha competenza anche sui rapporti con i soci pubblici e con gli enti locali, compresi i rapporti istituzionali con la Regione e con lo Stato relativamente alle manifestazioni e alla vita istituzionale dell’ente. Si potrebbe dunque dire che la continuità esiste nel funzionamento, si autoalimenta in un modello aziendale decisamente semplice. C’è da dire anche che l’azienda dà una garanzia, starei per dire assoluta - anche se di assoluto non c’è mai nulla
- sulla continuità della governance dal punto di vista manageriale; quindi se domani non ci fosse più Tommaso Fanfani a fare il presidente, l’azienda è in condizione di individuare un presidente con una formazione professionale adeguata e consolidata dall’esperienza di questi anni, perché le persone cambiano ma le competenze rimangono, si tramandano. In conclusione, io non vedo pericoli di discontinuità, sotto il profilo delle competenze e delle capacità. L’unico elemento che posso vedere critico, ma che secondo me non essiste più e che comunque si allontana man mano che la Fondazione si consolida, è che l’azienda in momenti del tutto eccezionali possa mettere in dubbio il modello della Fondazione. Devo dire che la fase attuale che stiamo vivendo non soltanto non presenta questo rischio, ma Roberto Colaninno, l’anno scorso nel sessantesimo della Vespa ha lanciato l’idea di un nuovo museo affidandone la progettazione a Massimiliano Fuksas. Come vedi si tratta di una prospettiva veramente importante alla quale in questi giorni si sta lavorando per garantirne l’avvio. Il nuovo Museo si sposterebbe di qualche centinaio di metri e sarebbe realizzato all’interno dello stabilimento. Ci sono due o tre capannoni dei primi anni ’50 alti sui 20 metri: il progetto prevede un piano sopraelevato, soprastante rispetto al vasto spazio operativo, destinato allo stoccaggio dei veicoli in attesa di spedizione. Il piano terra dunque rimane a vista dello visitatore del museo, spazio non sempre per fortuna pieno, ma a volte tale da ospitare fino a 25.000 veicoli circa. Il museo, come ti dicevo sarà collocato in un piano sospeso tra il tetto del capannone e il piano terra, formato da numerose sfere trasparenti e di differente colorazione, destinate a funzioni diverse della Fondazione. Insomma, se riusciamo a realizzarlo, come consistenza e superficie sarà il doppio di questo e ciò ci consentirebbe anche di incrementare il parco veicoli, visto che oggi abbiamo un deposito di circa 280 esemplari che non possiamo esporre per mancanza di spazio.

G.P.: Quindi sarebbe l’intera struttura a trasferirsi.

T.F.: Esatto, archivio, museo e Fondazione

G.P.: E questo consentirebbe alla Fondazione di entrare nell’operatività dell’impresa, cioè dell’impresa operante.

T.F.: No, ancora questo tema non l’abbiamo toccato.

G.P.: Aspetta, prima di continuare lungo questa pista, consentimi di chiudere il ragionamento sulla governance: se ho ben compreso, la Fondazione costruisce e alimenta uno staff le cui competenze diventano garanzia di continuità.

T.F.: Certo, è un processo che pone le basi per far si che la Fondazione non si interrompa

G.P.: Dunque il punto di forza è il rapporto tra il presidente e la struttura vista come soggetto capace di autoformazione culturale, di costruzione di leadership

T.F.: Tieni presente che comunque le strategie in un ente misto pubblico-privato a mio parere vengono dall’esterno. All’interno c’è il processo di formazione, di conservazione e di erogazione dei servizi. Però le scelte strategiche - ad esempio, quale convegno fare, con chi interfacciarsi, a quali manifestazioni andare - questa è una scelta del presidente che naturalmente deve raccordarsi con il consiglio, e più in generale con i soci. Quindi è difficile immaginare che uno di questi ragazzi domani possa - in futuro lo potrebbe fare e sicuramente lo potrà fare - mantenere il livello di attività della Fondazione a 360° .
Anche le università, in prospettiva, possono essere un bacino interessante per attingere figure professionali.

G.P.: Quello che mi interessa capire è se lo staff può incarnare l’autonomia culturale della Fondazione. Tu in questo momento come presidente, assommi il ruolo politico e un ruolo scientifico e questa è la particolarità della situazione così come ce l’hai descritta. Un domani lo staff può essere garante dell’autonomia culturale esprimendo, ad esempio, il direttore generale?

T.F.: Non direi. Non dimenticare che il personale non è assunto dalla Fondazione ma dall’impresa. Qualche cambiamento ho cercato di realizzare in questi anni, ad esempio ho chiesto all’azienda di disporre di determinate risorse e di cederne altre. Le persone che oggi operano presso la Fondazione sono dei laureati, sia le due persone fisse che sono qui con un contratto a tempo indeterminato, sia altre due con contratto a progetto. Poi c’è una consulente artistica che in questo momento assume anche la responsabilità sulla comunicazione istituzionale, laureata anch’essa che lavora con noi a progetto ed infine ci sono due guardiasala che sono invece ex operai Piaggio addetti alla movimentazione dei veicoli, alla vigilanza in orario di apertura del museo, alla organizzazione di visite guidate per scuole o per altri visitatori. Quindi la continuità della governance, secondo me è assicurata – e spero di riuscire ad esprimere con chiarezza il mio punto di vista - dall’autorappresentazione della Fondazione stessa. Fino a quando esisterà la condivisione del progetto da parte dei tre soci, la Fondazione sarà il generatore di una competenza culturale capace di raccordare la dimensione politica con quella culturale. Quindi il profilo del presidente di una Fondazione che lo statuto definisce ente di promozione culturale per il territorio, non dovrebbe essere né quella di un ingegnere della Piaggio, né quella di un puro politico, per esemplificare e – naturalmente - senza nulla togliere alla competenza e al valore culturale e scientifico sia dell’ingegnere che del politico. Poi è interessante vedere come da uno statuto che sostanzialmente limitava le competenze alla ricerca storica (ricorda la richiesta iniziale di Giovanni Alberto Agnelli) si è passati alla prospettiva di formare i giovani alla mobilità e, infine, alle mostre d’arte, agli spettacoli teatrali, alle presentazioni di libri, ai convegni sull’economia, sulla giustizia, sulla scuola.

G.P.: Quindi modificando lo statuto.

T.F.: No, senza toccarlo. Sai, noi siamo una struttura abbastanza flessibile: lo cambiamo ogni qualvolta cambiano i consiglieri e questo ci ha portato alcune volte dal notaio, soprattutto perché da parte di Piaggio c’è stato un qualche avvicendamento negli ultimi anni.

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