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La Fondazione Piaggio: intervista a Tommaso Fanfani
di Giuseppe Paletta
realizzata il 25 maggio 2007
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Le motivazioni originarie

Tra pubblico e privato
La governance
Il rapporto tra fondazione e impresa
Riferimenti bibliografici

 

G.P.: Mi è tutto più chiaro. Facciamo ora un passo indietro e torniamo alla prospettiva di un nuovo sito per il museo e al tema dell’incontro con l’operatività dell’impresa sul quale ti avevo fermato.

T.F.: Il rapporto di operatività tra Fondazione e impresa per noi è normale, in certi periodi è quotidiano. Specialmente negli ultimi tempi, ogni nostra azione, ogni evento a cui partecipiamo viene condiviso con l’azienda e si crea un filo diretto sia con l’ufficio stampa di Piaggio, sia con il responsabile dell’immagine e comunicazione dell’azienda. L’operatività assume quindi condivisione da parte dell’impresa su alcuni eventi e progetti nostri o promossi dall’azienda, sia per l’organizzazione di momenti di attività istituzionali dell’impresa stessa, come per esempio l’organizzazione di convenction in periodi diversi dell’anno, in qualche caso la presentazione di prodotti, le riunioni con i dealers, oppure lo svolgimento di dibattiti interni, riunioni operative tra strutture, divisioni, reparti, addestramento. A volte si tratta di pura e semplice disponibilità degli spazi; altre volte si creano condizioni di sinergia come, ad esempio, le ricerche iconografiche per pubblicazioni gestite da Piaggio in collaborazione con editori diversi. Forse per il contenuto del progetto culturale, forse per il contenuto dell’archivio sono frequenti le occasioni di operatività condivisa. Devo dire che la ciclicità della collaborazione oltre che da elementi oggettivi, vale a dire l’organizzazione di eventi da gestire e realizzare in compartecipazione, dipende molto anche dalla sensibilità dei dirigenti che possono vedere o meno la Fondazione, il museo e l’archivio quali contenitori potenzialmente significativi per obiettivi strategici, gestionali o organizzativi. L’azienda con frequenza ci pone domande sull’evoluzione del design o della comunicazione d’impresa, ci interpella in qualche caso anche a proposito degli eventi organizzati per il lancio di un prodotto.
Un recente episodio esplicativo: il Calessino è un nuovo prodotto di Piaggio che arriverà sul mercato tra poco tempo. Il nome del prodotto a tre ruote di ultima generazione viene dal museo, dove c’è l’Ape calessino del 1956. C’è stato chiesto a chi appartenga il nome “calessino” per poterlo riproporre.
L’interazione di carattere squisitamente commerciale con l’impresa è forte e noi tutti i giorni siamo sollecitati in questa direzione. Forse questo è anche il segreto per cui l’azienda ci sostiene. Più correttamente, uno dei motivi per cui ci sostiene, perché finché l’imprenditore è convinto della funzione sociale dell’impresa, e quindi ritiene che un progetto culturale sia un modo di declinare le attese degli stakeholders nei confronti dell’impresa stessa, tutto va bene. Se invece venisse meno la sensibilità dell’imprenditore al fattore sociale, l’unica motivazione che può spingere l’imprenditore a sostenere un progetto culturale è che questo consenta un ritorno in termini di immagine, di competenze, di servizi per la produzione stessa. Quando capita che qui venga qualche esperto del Centro stile dell’impresa e guarda le fotografie, i disegni degli anni ’40 e ’50, magari cercando un’idea nuova o una qualche ispirazione, questo rappresenta un servizio che la Fondazione archivio storico fa nei confronti dell’azienda.

G.P.: Questo significa che mentre l’avvio del progetto sta nell’empatia tra due persone come tu e Giovanni Agnelli, lo sviluppo cui fai ora riferimento consente al progetto di moltiplicare i fili di collegamento con le parti operative dell’impresa. La cosa è tanto più importante in presenza di una grande impresa articolata in divisioni che così possono sperimentare direttamente l’utilità del progetto. Accanto al legame politico, che per quanto forte, rimane sempre un fatto di vertice, si genera così una rete di relazioni funzionali con i gangli operativi dell’impresa che avvertono la Fondazione come cosa propria.

T.F.: É così anche se rimane la costante della premessa: la fecondità del rapporto tra progetto culturale e azienda, tra Fondazione e azienda, si può intensificare o può cadere subordinatamente alla sensibilità o meno delle persone che hanno potere decisionale. E’ dalle scelte del top management, dalla sensibilità culturale delle persone e dalla loro visione che dipende il permanere o meno del progetto culturale stesso. La sinergia tra Fondazione, museo, archivio e impresa rappresenta un servizio che la Fondazione svolge a vari livelli, anche offrendo ai responsabili dei vari settori, dei vari brand l’opportunità di svolgere qui le loro manifestazioni, di trovare qui un clima proficuo per esporre un nuovo progetto, per presentare le strategie di diffusione di un prodotto, per incontrare i giovani talenti del design e quant’altro. Quindi c’è una buona interazione tra impresa e Fondazione, che sicuramente può portare benefici reciproci e può consolidare il legame naturale tra azienda e la sua Fondazione culturale. Ho vissuto dei momenti di crisi, soprattutto quando l’azienda era in sofferenza sul mercato, ma l’esistenza della Fondazione non è mai stata messa in discussione e io lo attribuisco al fatto che l’azienda percepisce i risultati di questa interattività.

G.P.: In tutto questo nostro ragionamento noi continuiamo a parlare dell’impresa come monolite. Essa invece ospita una pluralità di attori, a volte anche in contrapposizione: imprenditori, dirigenti, tecnici, operai. Tutte queste componenti hanno modo di riconoscersi nel museo?

T.F.: Si, io credo assolutamente di si, perché il senso di appartenenza è molto avvertito a tutti i livelli e lo è da parte dell’azienda come da parte dei dipendneti o dei loro famigliari. Nel momento in cui l’azienda mette in produzione e investe milioni per un nuovo progetto che richiama alcuni elementi – soprattutto estetici - di un veicolo visto nel museo, può significare che questa “riconoscibilità” del management ìinteressa non soltanto la storia dell’impresa da un punto di vista sociale, ma anche su quello dei contenuti dei prodotti. Sul fronte dei dipendenti e dell’ambiente esterno all’azienda la Fondazione e il museo sono spesso considerati come luoghi sacri, attribuzione che avverti continuamente e che spesso si esplicita. Quando dopo la morte di Giovanni Alberto Agnelli ci fu un momento di sbandamento – come accennavo – sul progdetto culturtale e sulla sua proseguibilità, andavo per la strada e molte persone, anche gente che non mi conosceva, mi chiedeva: “Ma quando aprite il Museo Piaggio? quando sarà pronto il Museo Piaggio?”. Persone comuni, per la strada, ciò per dire che questo luogo, per quello che rappresenta e quel che intende rappresentare è veramente un elemento di riconoscibilità non solo per la memoria, ma soprattutto perchè è una dimostrazione concreta di quello che si è saputo fare assieme, di quello che si può fare, di quello che da qui si può ancora ricavare. Marc Bloch, diceva che la storia non serve per conoscere il futuro, ma per capire il presente. Io credo che il museo sia il luogo per ritrovare se stessi e per capire meglio quello che sta succedendo oggi; credo che sia un luogo privilegiato che offre riconoscibilità a tutte le componenti dell’impresa e alla comunità che vive all’esterno di essa, perché quando il rapporto tra popolazione e dipendenti è di 26.000 a 13.000, anche se non tutti di Pontedera, è evidente che siamo in presenza di una company town.

G.P.: Vorrei raccontarti un episodio cui mi è capitato di assistere presso l’archivio Dalmine. Lo scorso anno, per le celebrazioni del centenario dell’impresa Carolina Lussana ha organizzato una mostra esponendo le foto dell’archivio storico che raffiguravano operai in reparto e invitando poi i visitatori a riconoscere le persone e scriverne i nomi accanto alle immagini.
Con questo sistema, gli operai-numeri così come appaiono spesso nell’iconografia d’impresa si trasformavano in operai-individui. L’effetto era travolgente: i visitatori discutevano, gridavano, si emozionavano riconoscendo i nonni, i padri o se stessi da giovani. In quel caso, Carolina Lussana utilizzava l’archivio dell’impresa per alimentare la riconoscibilità e stimolare il senso di appartenenza all’impresa attraverso uno strumento culturale. Ora, la Fondazione Piaggio ha in programma azioni concrete in questa direzione?
T.F.: A prescindere della positività imitabile dell’iniziativa di Carolina, diciamo che la strategia operativa della Fondazione è stata sempre molto trasversale, facilitati come siamo dal fatto che in Toscana, le barriere sociali sono meno accentuate che in Lombardia. Io credo che questo luogo, così come esso è organizzato, rispecchi la poliedricità dell’impresa. In effetti, dico la verità, non mi sono mai posto questo interrogativo, però quello che posso dire è che qui dentro convergono tensioni, orientamenti, operatività molto diverse a tutti i livelli. É un ambiente in cui i soggetti che parlano di più sono il prodotto e la testimonianza del momento storico: due elementi che generano come sintesi una sorta di compensazione equilibrata. Insomma credo che il progetto culturale Piaggio abbia non solo aiutato a far capire a tutti i livelli quale sia il dna dell’azienda, ma ha anche evidenziato che l’identificazione nelle opere e nei risultati del lavoro comune è frutto di un approccio culturale interclassista.
Poi, come in tutte le aziende eroiche, nel senso di aziende che sono riuscite a produrre beni che sono durati e che durano, come nel nostro caso, stabilmente sul mercato, la forza sta anche nel fatto che c’è questo lavorare gomito a gomito tra l’ingegnere e il progettista, tra il disegnatore, il meccanico e quello che si preoccupa soltanto di oliare il prodotto. Spero di averti risposto.

G.P.: Si, in pieno. Probabilmente, le mie curiosità nascono dall’aver di fronte scenari più spersonalizzati e freddi della realtà lombarda e tu mi hai ricordato che siamo in Toscana, e qui la comunicazione sociale è più diretta. In ogni caso, ti assicuro che il gioco delle fotografie era efficace.

T.F.: Molto efficace, è una buona idea. Quando abbiamo fatto la mostra Arte e lavoro, abbiamo realizzato una sezione di fotografie dei mestieri alla Piaggio: i tornitori, i lattonieri, ecc.
Ma voglio raccontarti un episodio per farti comprendere il particolare rapporto tra classi sociali in quest’impresa. La Piaggio è famosa per gli scioperi storici, quelli cioè che negli anni ’50 o nei primi anni ’60 duravano mesi e avevano un tasso di conflittualità altissima. Qui siamo di fronte a un’azienda che negli anni del dopoguerra aveva molti retaggi di autoritarismo derivato anche dalla tradizione, un’azienda quasi militare per il tipo di produzione realizzata. Nel ’64, durante uno tra i più violenti di questi scioperi, gli operai hanno preso a sassate la casa di Enrico Piaggio e i membri della famiglia non potevano uscire in macchina perché gliela ribaltavano, come succede allo stesso Francesco Lanzara. Quando un pomeriggio di novembre dalla direzione esce l’ambulanza perché Enrico Piaggio si sente male all’improvviso, e si sparge la voce che in quell’ambulanza c’è il “padrone”, l’imprenditore che in quel momento ed in quel contesto credo fosse il più odiato, lo sciopero termina immediatamente, nonostante non si avesse la percezione che il suo malore fosse un fatto gravissimo. Quando dopo dieci giorni muore, la reazione degli operai, della città di Pontedera è di una partecipazione straordinaria. Le fotografie del funerale di Enrico Piaggio sono una testimonianza impressionante: migliaia e migliaia di persone si assiepano nei prati e nel piazzale della sua residenza privata a Varrmista. Questo per dire che, nonostante la fortissima conflittualità, prevale il rapporto, il legame forte con l’azienda e l’impresa non è più del padrone, ma è di tutti. Ancora, se nel ’45 D’Ascanio decide di rielaborare l’idea del Paperino e arrivare all’MP6 e chiede ai suoi tecnici di lavorare ininterrottamente il sabato e la domenica, notte e giorno, questi lo fanno. Ci sono tanti episodi insomma che vanno in questa direzione e rendono evidente che l’impresa è “la casa comune”. Questo vivere gomito a gomito, la concezione dell’azienda come entità “superiore” le aspettative, la partecipazione al funerale, a mio parere sono segni importanti. La Piaggio è ricca di episodi di questo tipo.

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