|
Produrre
innovazione vuol dire cambiare il mondo circostante
in modo imprevedibile. L’impresa che
fa innovazione ha un potere e una responsabilità
politica: è ammissibile che in una
società democratica l’innovazione
sia politicamente irresponsabile? |
«Il potenziale di crescita economica di un Paese
dipende direttamente dagli investimenti nel rinnovamento
della conoscenza»: oggi una frase come questa
non sorprende nessuno, tanto meno chi si trova a gestire
il potere.
Dal crescente bisogno dello scienziato di inserirsi
in strutture organizzative adeguate nasce, quindi,
l'alleanza con l'impresa. Quest'ultima è stata
infatti prontissima a scorgere nelle novità
assolute di molte scoperte della scienza una nuova
risorsa utile per il perseguimento di quell'apporto
aggiuntivo al suo profitto che è l'
innovazione.
Ha capito che per realizzare l’innovazione l'apporto
della
scienza, seppur fondamentale,
non bastava e che occorreva aggiungere all'ipotesi
scientifica, alla
tecnologia, al
capitale altri fattori quali
creatività,
disponibilità al rischio,
capacità manageriali. Fattori
che era in grado di procurarsi affiancando allo scienziato
l'imprenditore, con il compito di realizzare ciò
che è nuovo e che poteva apparire improbabile.
Solo che, essendo l’innovazione anche creatività
– è stato detto: in questo modo rompe
l’ovvietà! – è sempre un
cambiamento in qualche modo
«Dal crescente bisogno
dello scienziato di inserirsi in strutture
organizzative adeguate nasce l'alleanza con
l'impresa» |
imprevedibile che per questo motivo – come argomentano
Schumpeter e Nelson – determina un’aggiunta
di rischio/opportunità e potere sociale. Proprio
per questo noi parliamo di innovazione come
realizzazione
dell’improbabile. Come qualcosa che
è sempre
rischio e
opportunità,
che cambia il mondo che ci circonda ma lo cambia in
direzioni intrinsecamente imprevedibili. Un’imprevedibilità
che si può esprimere:
 |
- |
 |
sul piano politico-sociale,
nuove istituzioni, nuove modalità di
relazioni, di produzione, di guerra, nuovi
poteri |
|
- |
|
sul piano tecnico-economico,
nuovi materiali, nuove energie, nuovi strumenti,
nuove categorie di beni |
|
- |
|
sul piano estetico culturale,
nuovi stili, mode, gusti, atteggiamenti. |
La scienza ha incontrato il potere e su questo
non possono esserci dubbi. Catalizzatore di questo
incontro è stata l’
innovazione,
struttura operativa l’
impresa
o l’
istituzione pubblica ad
hoc, coordinatore l’
imprenditore,
regolatrice la
statualità.
Le conseguenze non sono reversibili. Partecipando
a questo processo e assumendosi il ruolo di co-decisore
del cambiamento, l'innovazione (scienza+capitale)
ha incontrato la
politica.
In questo modo l'impresa, che gestisce l'innovazione,
è diventata co-attrice diretta di scelte
che ci toccano tutti.
Scelte che non riguardano solo strumenti capaci
di funzionare nelle mani del vecchio potere per
i suoi obiettivi. Ma che riguardano l’innovazione
e perciò sono scelte di fini.
Il ruolo dell'impresa non è più un
ruolo politicamente subalterno. È paritario.
E come tale deve essere responsabile.
Ecco che il tema della
responsabilità
politica si pone quindi anche per l'impresa:
 |
- |
 |
essa non potrà
più definirsi neutra |
|
- |
|
dovrà riconoscere
la sua consapevolezza dei fini rispetto ai
quali la sua offerta di sapere si è
rivelata strumentale |
|
- |
|
dovrà ammettere
di aver partecipato, nell’ambito del
processo di innovazione, a finalità
di cambiamento |
|
- |
|
dovrà ammettere
di essersi integrata nell’organizzazione
del potere moderno, che non è più
soltanto monopolio della violenza legittima
ma piuttosto detenzione e guida dei processi
innovativi. |
In sostanza deve ammettere di aver fatto e di fare
politica.
Ma si può fare politica senza
memoria?
Io credo proprio di no. Senonché i metodi decisionali
delle istituzioni democratiche attuali sembrano poco
adatti a favorire questo raccordo. Basati, come sono,
sulla raccolta del consenso maggioritario - largamente
influenzato dai media con la loro ossessione per l’
attualità
-
«Ma allora dobbiamo proprio
rassegnarci? Possiamo ammettere che, in una
società che si definisce democratica,
l'innovazione sia politicamente irresponsabile?»
|
essi faticano a raccordarsi non solo alla memoria
ma anche all’innovazione.
Stentano cioè a valutare
ex ante situazioni
come le innovazioni che, per definizione, postulano
cambiamenti affidati a
saperi e
poteri
sociali
improbabili, per dirla con
Bruno
Latour.
Ma allora dobbiamo proprio rassegnarci? Possiamo ammettere
che, in una società che si definisce democratica,
l'innovazione sia politicamente irresponsabile? Che
essa possa essere distribuita confusamente tra l'imprenditore
– cui la dottrina attribuisce tutt'al più
una responsabilità implicita, quella appunto
legata alla verifica del mercato – e il mercato,
nella sua indeterminatezza e acefalia? D'altro canto,
le nuove regole sempre seguono, mai precedono gli
eventi improbabili. E in mancanza di regole, chi può,
deve inventarsele.
La
Fondazione
Giannino Bassetti per l'innovazione responsabile
sta lavorando, partendo da un caso concreto, sulle
procedure democratiche da proporre agli organi politici
per conciliare
storia,
innovazione,
rischio,
incertezza,
imprevedibilità, con la fondamentale
idea democratica di
decidere
a maggioranza.
È questo infatti ciò che sembra stare
a cuore a un organismo politico come l'
Unione
Europea nella quale sola è lecito
porre oggi la speranza di nuovi modi di fare politica.