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Pmi: una miniera di saperi
di Danilo Oreste Broggi
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Divenire consapevoli della propria cultura d’impresa e farne «valore» si coniugano con le dimensioni globali del mercato. Di questo ne deve tener conto anche la piccola e media impresa.

La cultura d’impresa è un tema affascinante, vastissimo. E poliedrico. Tenterò di coglierne qualche significato attraverso il punto di vista, che più mi è familiare e noto, legato alla realtà della piccola e media industria. Certo, questo non restringe molto le modalità di analisi, perché non di cultura, ma di culture d’impresa è più ragionevole parlare quando ci riferiamo alle imprese piccole e medie.

Perché se è vero che non c’è un modello culturale di riferimento cui l’industria si possa ispirare sic et simpliciter, è altrettanto vero che la piccola e media industria un patrimonio comune di cultura d’impresa non ce l’ha, deve crearselo.
«La piccola e media industria un patrimonio comune di cultura d’impresa non ce l’ha, deve crearselo»
Da dove? Dal proprio vissuto, dal lavoro quotidiano della produzione, dell’approccio al mercato, delle modalità di distribuzione e di vendita, con tutta la conoscenza che la tecnologia, i processi avanzati e l’innovazione di prodotto comportano e tutto il patrimonio personale di quanti in quella impresa lavorano, tutto l’apporto umano e professionale che vi trasferiscono.
Cultura d’impresa come patrimonio di relazioni.
Infatti penso che si possa parlare di due aspetti che concorrono a creare la cultura d’impresa – possiamo anche dire la coscienza di sé – nella piccola e media industria:
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da un lato la cultura familistica, che naturalmente è peculiare dell’universo Pmi
 
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dall’altro – e questo è meno scontato, e per certi versi credo più affascinante – una cultura concorrente «di gruppo», formata cioè da tutti coloro che lavorano in una azienda piccola o media perché ognuno vi svolge un ruolo irrinunciabile dove ha modo di esprimere a tutto tondo il proprio modo di essere e di concepire l’impresa.

Credo che la cifra della cultura d’impresa delle Pmi sia in questo incontro, che crea una miniera di saperi spesso sottovalutati, talvolta perfino inconsapevolmente gestiti, ma vivi e vitali per l’impresa e per i suoi naturali stakeholders, in primis la comunità e il territorio su cui opera.

Ogni impresa si crea e arricchisce a partire dalle conoscenze e dalla sensibilità di un singolo, che poi si implementano man mano con l’apporto che portano tutti coloro che vi lavorano, ma la consapevolezza di questo processo è altra cosa, e solo una minoranza delle imprese riesce a viverla pienamente.
Questo per la difficoltà oggettiva di rendere razionale un processo quasi spontaneo. Per la difficoltà di condividerlo e comunicarlo all’esterno e farne un patrimonio collettivo, soprattutto nella prima generazione imprenditoriale. E’ dalla seconda, più ancora dalla terza generazione, che l’impresa riesce a «staccarsi» fisicamente dal suo fondatore, oggettivandosi, e questo è un passaggio fondamentale perché possa essere concepita da chi la guida e da chi vi opera come patrimonio comune di un gruppo prima, poi di una intera comunità. Patrimonio che non si impoverisce se viene condiviso, ma che anzi crea valori e ricchezza alla collettività e come tale viene da essa percepito.

È un’operazione di comunicazione, senz’altro, ma anche di crescita culturale, e non solo da parte dell’imprenditore. Anche la collettività si trova a dover riconsiderare il ruolo dell’impresa nel suo contesto, dandole dignità di soggetto culturale, oltre che economico. E se una operazione del genere può sembrare ovvia per grandi industrie che riescono nel tempo addirittura a modificare la composizione sociale di interi agglomerati urbani, lo è molto, molto meno per industrie piccole che operano con un numero di dipendenti anche molto limitato rispetto la collettività del territorio in cui insistono.

Questa oggettiva diversità di prospettive, però, non può più – come spesso in passato – essere usata a scusante della classe imprenditoriale.
«La nuova realtà dei mercati obbliga anche le piccole imprese ad acquisire conoscenze sempre più sofisticate»
La piccola e media impresa è oggi chiamata a una profonda revisione e razionalizzazione della sua struttura per poter vivere e aumentare la propria competitività in uno scenario diventato globale - dove il mercato interno è ormai perfettamente riconoscibile entro i confini dell’Unione europea.
La nuova realtà dei mercati obbliga anche le piccole imprese ad acquisire conoscenze (di informatica, produzione, marketing, tecnologiche, ecc.) sempre più sofisticate, tanto più quanto meno sono protette da norme e privilegi di vario tipo.

Dunque la Pmi è obbligata a uno sforzo ulteriore per acquisire piena consapevolezza della propria cultura d’impresa e farne «valore», cioè occasione di sviluppo non solo economico per tutta la comunità economica e sociale di riferimento, possibilmente tentando una strada propria.
Credo sia uno sforzo che vale la pena compiere. Che in un momento di grande incertezza dell’industria come è questo, possa servire guardare indietro, ripensare al percorso di relazioni, saperi, innovazione e sperimentazione che si è compiuto. Riguadagnandolo per essere più forti, per guardare avanti con maggiore fiducia.

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