|
Dalla contrattazione
collettiva all’odierna apologia dell’autonomia
e dell’auto-imprenditorialità
del lavoratore dipendente: Andrea Ranieri
illustra ambiguità e prospettive
della situazione presente.
|
L'autonomia, nella cultura del
movimento operaio e sindacale, è una proprietà
del collettivo. Di fronte all'asimmetria di sapere,
potere, ricchezza che fonda il rapporto di lavoro
subordinato, i lavoratori si associano,
si organizzano, lottano per far valere con il contratto
e con la legge le proprie esigenze di persone; richiedono
ritmi e orari di lavoro accettabili, salari dignitosi,
spazi propri di riposo e di vita intangibili dal
padrone, e difendono la propria dignità professionale
e personale. Base materiale del loro associarsi
è la catena verticale del comando della fabbrica
industriale, come l’impersonalità delle
moderne organizzazioni burocratiche.
La parcellizzazione delle funzioni e delle mansioni,
attraverso cui la subordinazione è strutturata
nell’organizzazione scientifica del lavoro,
viene rovesciata nell'idea di un’uguaglianza
sostanziale di condizione
dei subalterni al comando e nella consapevolezza
che solo insieme è possibile far valere le
proprie esigenze di persone.
Intendiamoci: nessuna fabbrica fordista,
nessuna pubblica amministrazione per quanto rigidamente
proceduralizzata, sarebbe mai riuscita a sopravvivere
senza che gli uomini e le donne mettessero nel loro
lavoro un po' di intelligenza, di disponibilità,
persino di gentilezza. L'utopia della fabbrica fordista,
della pubblica amministrazione weberiana,
in cui tutto funziona perché tutti seguono
le prescrizioni, corrisponde probabilmente alla
paralisi.
I saper fare informali e taciti, le astuzie che
il padrone e il capo ufficio non devono sapere,
su cui si basano la strategia individuale di sopravvivenza
a ritmi impossibili e i comportamenti di adattamento
opportunistico, sono poi gli stessi che permettevano
di risolvere problemi e di produrre soluzioni non
alla portata della macchina organizzativa.
Quei saperi assumevano però la dignità
di autonomia solo quando si innestavano
in una dimensione collettiva e diventavano la base
per un’azione condivisa di controllo delle
condizioni di lavoro - i tempi, i ritmi, la difesa
dell’integrità fisica e psichica delle
persone.
«L'autonomia, insomma,
diviene elemento di riferimento del nuovo
profilo professionale di gran parte dei lavoratori
dipendenti» |
Diverse sono le ragioni per cui entra in crisi il
modello organizzativo su cui si sono disegnate non
solo le imprese, ma ancor più le relazioni
tra le parti sociali, il contratto e il conflitto,
la nozione di subordinazione e quella di autonomia.
Le
nuove tecnologie, il
farsi
globale dei mercati, la
domanda di
beni e servizi che si fa più
esigente
e
personalizzata: tutti concorrono
a spiazzare un'idea di organizzazione meccanica e
prescrittiva. Si giunge così a richiedere ai
lavoratori ben di più che la diligenza nello
svolgere puntualmente i compiti prescritti, ma anche:
L'
autonomia, insomma,
diviene elemento di riferimento del nuovo profilo
professionale di gran parte dei lavoratori dipendenti.
È sotto gli occhi di tutti quanto di ideologico
ci sia in questa apologia dell'autonomia e dell'autoimprenditorialità,
quanto spesso serva a spostare verso il basso il rischio
d'impresa senza variare l’organizzazione del
lavoro, quante vecchie e gloriose sicurezze faccia
fuori sostituendole semplicemente con l'ideologia
del rischio e con l'onnipotenza del mercato. Sarebbe
assurdo però liquidarla così, riproponendoci
come orizzonte quello collaudato dall'economia di
scala e dalla gloriosa triade che congiungeva la
big
industry, al
big labour e al
big
State.
Soprattutto perché questo mutamento ha origine
anche nell’aumentata autonomia e intelligenza
dei lavoratori stessi, in quella nuova generazione
cresciuta a valle del welfare e delle conquiste sindacali
e difficilmente impiegabile nelle
routine
povere della vecchia
macchina organizzativa.
Il fordismo, insomma, entra in crisi come paradigma,
anche perché non è più in grado
di contenere la crescita di intelligenza e di sapere
che esso stesso ha contribuito a rendere possibile.
E il sapere, degli scienziati e degli esecutivi, formale
e informale, trasferibile e di contesto, diventa il
requisito di successo decisivo per le strutture organizzative:
esse devono fare i conti con una dimensione del cambiamento
- di tecnologie, mercati, domanda di beni e di servizi
- che, da fattore eccezionale, diventa elemento strutturale,
permanente, nella vita delle organizzazioni.
La persona nella sua integrità, un tempo obiettivo
da tutelare contro la spersonalizzazione della
macchina
produttiva fordista, oggi diventa il perno
fondamentale delle organizzazioni nell’economia
della conoscenza.
«Nuove domande di senso
e di direzione, per un futuro che è
ancora tutto da scegliere e da costruire» |
E a questo punto si dividono gli ottimisti e i pessimisti:
gli apologeti della nuova libertà e i profeti
di sventura, che vedono in questo - «la nuda
vita messa al lavoro» - la piena sussunzione
dell'essere umano al processo di valorizzazione capitalistico.
Fortunatamente le persone che lavorano più
modestamente sperimentano e riflettono le ambiguità
della situazione presente, in cui ricchezza e povertà,
possibilità di realizzazione di sé e
rischio di essere proiettati in una dimensione di
insicurezza permanente convivono in maniera inestricabile
e pongono all'agire politico e sociale
nuove
domande di senso e di direzione, per un futuro
che è ancora tutto da scegliere e da costruire.
Al disegno di questo futuro può dare un contributo
non da poco il ripensamento delle relazioni industriali
e le scelte che su questo terreno faranno le parti
sociali. Può essere forte per le imprese l'idea
di giocare la personalizzazione del lavoro contro
la rappresentanza collettiva dei lavoratori. Così,
quote importanti di salario e di riconoscimento professionale,
sottratte alla contrattazione fra le parti, vengono
spinte verso le relazioni interne, di esclusiva competenza
del management: questo a causa
  |
- |
 |
della non misurabilità
delle nuove doti richieste
ai lavoratori - l'autonomia,
la responsabilità,
la disposizione al lavoro di gruppo,
la capacità di gestire varianze
- secondo i criteri collaudati su cui si basava
la contrattazione e lo scambio sindacale |
|
- |
|
della non riducibilità
di una carriera orizzontale per certificazione
e acquisizione di competenze nelle caselle
tradizionali dell'inquadramento professionale. |
La
contrattazione tende a farsi
individuale,
ripresentando però su un terreno diverso la
criticità delle asimmetrie di potere e di informazione
che fondano la necessità della contrattazione
collettiva.
Il
lavoratore dichiarato
autonomo,
imprenditore di se stesso,
cliente
interno, liberato dalle sovrastrutture della
contrattazione collettiva, scopre ben presto che:
  |
- |
 |
la propria autonomia
è relativa e ha possibilità
di esplicarsi attraverso scelte organizzative
che non sono alla sua portata |
|
- |
|
la carriera per competenze
dipende dalle concrete occasioni di esperienza
professionale e di formazione che solo in
parte ridotta dipendono da lui |
|
- |
|
le spinte al coinvolgimento
e alla fidelizzazione rischiano di essere
a ogni momento contraddette dalle tendenze
all'outsourcing di segmenti
della struttura produttiva. |
Non c'è da stupirsi se il lavoratore, quando
ne ha la capacità e la forza, ricerchi sul
mercato, invece che nell'impresa, la sua realizzazione
professionale e le occasioni più redditizie,
economicamente e professionalmente più consone.
I lamenti datoriali sull’infedeltà degli
individui che utilizzano sul mercato le competenze
acquisite nell'esperienza professionale in impresa,
sono altrettanto infondati quanto la straordinaria
pretesa di avere la botte piena e la moglie ubriaca.