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Dalmine 1906-2006. Un secolo di industria, a cura di Franco Amatori e Stefania Licini, Bergamo, Fondazione Dalmine (Quaderni della Fondazione Dalmine, 5), novembre 2006, pp. 384

Dalmine dall’Archivio fotografico. Lavoro, industria, prodotti, Bergamo, Fondazione Dalmine (Quaderni della Fondazione Dalmine, 6), novembre 2006, pp. 232
Recensione di Adolfo Mignemi

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Introduzione
Dalmine 1906-2006. Un secolo di industria
Dalmine dall’Archivio fotografico. Lavoro, industria, prodotti

Introduzione

La pubblicazione di due importanti quaderni della Fondazione Dalmine ha concluso le manifestazioni promosse nel 2006 per il centenario della costituzione della società che ha dato origine all’odierna Tenaris Dalmine.
La Fondazione ha affidato ad un nutrito gruppo di studiosi il compito di tracciare le linee principali delle vicende aziendali sia a partire dalla vasta documentazione  interna alla conservazione e valorizzazione della quale è impegnata, fin dal 1998, la Fondazione stessa, sia dalla esplorazione di numerosi archivi italiani e stranieri, sia pubblici che privati, ove è conservata traccia dell’articolata storia della Dalmine.
«Una storia – scrive nella presentazione del primo quaderno Paolo Rocca, presidente esecutivo della società – che va dalle lontane origini tedesche con la Mannesmann, al breve periodo bresciano con la Franchi Gregorini, al passaggio, attraverso la Banca commerciale italiana, al lungo periodo di gestine pubblica con l’Iri e la Finsider, sino alla privatizzazione e all’attuale appartenenza a Tenaris».
Le due pubblicazioni si sono suddivise il complesso percorso di illustrazione dei risultati della ricerca. Al primo quaderno – che è comunque il quinto della serie edita dalla Fondazione con il titolo Dalmine 1906-2006. Un secolo di industria e per la cura di Franco Amatori e Stefania Licini –  è stato affidato il percorso espositivo analitico delle vicende dell’azienda dalle origini ad oggi; mentre al secondo quaderno, sotto il titolo Dalmine dall’Archivio fotografico. Lavoro, industria, prodotti, il compito di produrre un percorso interpretativo all’interno di quello che si presenta come uno dei più interessanti e suggestivi settori dell’archivio storico affidato alla Fondazione.

Dalmine 1906-2006. Un secolo di industria

I testi raccolti nel primo quaderno sono introdotti da una prefazione di Francesco Giavazzi e da una sintesi orientativa dei curatori. Il primo saggio è un ampio profilo storico di Gianluigi Della Valentina, ricco di «fatti, cifre e protagonisti», che ripercorre l’intera vicenda aziendale; seguono il lavoro di Claudia Rossi dedicato alla lettura di alcuni dei principali indici di bilancio nel corso di questi cento anni, ed i contributi di Ruggero Ranieri e di Giorgio Pedrocco che prendono in esame rispettivamente i temi dei mercati e della tecnologia ed organizzazione del lavoro. Si apre a questo punto del volume la parte dedicata ai protagonisti dell’impresa industriale: operai, tecnici, dirigenti e imprenditori, analizzati in due saggi da Ferruccio Ricciardi e Silvia Conca. Cinzia Martignone si occupa poi del tentativo dell’azienda di dar forma alla propria comunità, Company town e politiche sociali nella comunicazione aziendale titola il suo contributo, seguito dall’analisi delle dinamiche di internazionalizzazione a cura di Andrea Colli. Il volume è concluso da una nota sulle fonti per la storia della Dalmine, a cura di Angelo Bendotti, Carolina Lussana ed Eugenia Valtulina e da una ampia appendice tesa ad offrire un quadro nitido delle variabili economico-finanziarie e produttive dell’azienda, dell’evoluzione delle sue risorse umane, un repertorio storico degli amministratori dal 1906 al 2006 e una breve cronologia aziendale.
Tutti i contributi «attingono – e concorrono ad accrescere – a un patrimonio di ricerche, studi e tesi di laurea» che, viene fatto notare nell’ultimo saggio, è stato realizzato a partire dagli anni Settanta. Esso conferma come la Dalmine rappresenti «un caso particolare per quanto concerne la conservazione della memoria e delle carte che ne documentano la storia nel senso più ampio che questo significa. La vicenda tecnica, economica e imprenditoriale dell’azienda è anche parte della storia del processo di industrializzazione e dello sviluppo economico del nostro paese, delle trasformazioni sociali e territoriali, della formazione e trasformazione dei gruppi dirigenti e delle classi lavoratrici. E’ la storia di migliaia di persone che, a vario titolo, hanno legato la loro attività all’impresa. Ed è anche la storia di un insediamento, una company town, che deve le sue origini e parte della sua crescita, almeno sino agli anni Cinquanta, all’iniziativa diretta dell’impresa. La traccia di queste storie è sedimentata e raccolta in luoghi assai vari, tanto da indurre a parlare di un “archivio diffuso”».
Ed è da richiamare, anche in questa sede, l’ampiezza delle fonti utilizzate per la scrittura dei saggi e gli archivi a cui si è attinta documentazione. Essi sono: l’archivio Iri presso l’Archivio centrale dello stato; i fondi Agostino e Roberto Rocca presso l’Archivio Histórico Techint; il fondo Sofindit dell’Archivio storico di Banca Intesa, patrimonio Banca commerciale italiana; l’archivio Franchi Gregorini presso la Fondazione Ansaldo; l’archivio Agostino Rocca presso la Fondazione Luigi Einaudi; l’archivio Iri presso la Fondazione Iri; l’archivio del Consiglio di fabbrica Dalmine e la fonoteca presso l’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea; il fondo Mannesmann presso il Mannesmann Archiv; il fondo Dalmine Safta presso la Techint Buenos Aires.

Dalmine dall’Archivio fotografico. Lavoro, industria, prodotti

Non meno complessa si è presentata l’impresa della compilazione del secondo quaderno che, in un certo senso, si propone anche come una sorta di vetrina illustrata, per un pubblico internazionale (il testo è bilingue) della vicenda storica aziendale.
Si legge nell’introduzione: «Ripercorrere una parte importante della storia e della memoria di un secolo di lavoro, industria, attività attraverso le immagini conservate nell’Archivio storico della Fondazione è parsa la forma più immediata ed opportuna per sottolineare adeguatamente questo significativo momento».
Il volume compone un percorso ripartito tra un’ampia selezione di immagini, affidata al fotografo Maurizio Buscarino, ed un saggio interpretativo opera dello storico dei media Peppino Ortoleva.
«Nel percorso, non sistematico, attraverso le quindicimila fotografie della Fondazione – nota Buscarino – ho visto l’impresa via via farsi grande, nel quadro del forte legame con il contesto sociale e storico […]. Ho cercato non solo le immagini dell’evoluzione tecnica della fabbrica, del lavoro, del prodotto, ma anche gli esempi più significativi della loro relazione con il divenire storico», tenendo conto che «le fotografie appartengono alla storia anche nella loro fisicità, perché sono esse stesse espressione di una evoluzione tecnica e culturale, che rende molto diverse quelle più antiche da quelle prodotte, per esempio, nella nostra attualità».
Al suggestivo percorso attraverso 152 immagini, riprodotte con una stampa accurata, fa seguito una puntuale analisi di dodici di esse, condotta da Ortoleva, privilegiando i registri storico formali ed estetici, facendo abilmente interloquire con il lettore il percorso definito dall’antologia di fotografie, selezionate da Buscarino, in tutta la sua complessità.
L’eccellenza del risultato è tuttavia al tempo stesso il suo più grande limite.
Ci sembra opportuno soffermarsi su tale questione perché essa pone una problematica di metodo che deve essere affrontata – i tempi sono ormai maturi – ed il contesto della pluriennale esperienza dell’archivio fotografico Dalmine, appare, di sicuro, come il più adatto per recepirne, correttamente e senza fraintendimenti, l’ampiezza e l’articolazione.
Il lettore del quaderno si può confrontare con delle belle illustrazioni, con fotografie sapientemente organizzate in un vero e proprio testo visivo ma non con un archivio storico documentale.
La selezione potrebbe essere stata realizzata componendo materiali di eterogenea provenienza e ai fini delle ipotesi rappresentative ed analitiche nulla probabilmente sarebbe cambiato.
Si è scelto di accostarsi all’immagine della Dalmine trascurando l’aspetto, non poco irrilevante, delle modalità di formazione e costruzione di questa immagine nel corso di un secolo e, di conseguenza, si è persa l’opportunità di porre il lettore del quaderno a confronto con l’archivio fotografico aziendale in quanto tale.
Negli ultimi anni le monografie aziendali celebrative sono state sempre più ridondanti di immagini, provenienti quasi sempre dagli archivi fotografici interni, ma questi archivi sono trattati alla stregua di quelli cartacei quasi vi fossero una comunanza di organizzazione e produzione – che non vi è mai – per cui si potrebbe considerare lecito dare per scontata una capacità diffusa, da parte del lettore, di contestualizzare correttamente ogni documento citato o proposto.
Le cose però non stanno così. Le immagini parlano molto, ma devono essere adeguatamente interrogate, al fine di evitare l’incontro con un racconto eccessivamente generico e, di conseguenza, anche inconcludente.

Che cosa ci si dovrebbe aspettare dunque da un percorso avviato a partire dall’archivio fotografico? Innanzitutto la presentazione dell’archivio con la sua storia, quella dei suoi fondi, delle sue serie; con l’interpretazione delle palesi lacune ed il suggerimento rispetto a quelle presunte. E ciò non per smania archivistica o eccesso di erudizione ma per semplice esegesi delle fonti in quanto se una lettera commerciale, un verbale di consiglio di amministrazione, un libro mastro suggeriscono sempre il loro inequivocabile provenire da una pratica, da una serie documentale, da un inventario, ciò non è affatto scontato per una immagine fotografica che rinvia a contesti certi solo in casi eccezionali, il più delle volte suggerendo anzi concatenazioni che possono rivelarsi con estrema facilità assolutamente improbabili.
Delineata la consistenza e le caratteristiche dell’archivio, in modo da contestualizzare le immagini non confinandole nella loro dimensione formale-estetica, è conseguente aspettarsi di veder ricondotta ogni fotografia scelta alla sua dimensione di parte insostituibile di un insieme documentale coerente. Indicandone poi provenienza, eventuale appartenenza da una sequenza o ad un “servizio” fotografico, con ciò restituendo a ciascun lavoro – perché ogni fotografia è anche un lavoro aziendale, per quanto condotto da esterni (il fotografo) – i caratteri della produzione, diviene immediato comprenderne la specificità e pertanto come e perché esso è stato realizzato.
Siamo certi che una simile procedura sia in un certo senso la via obbligata al comprendere meglio, e pienamente, le logiche di qualsivoglia scelta antologica.
Sul piano interpretativo, invece, ci si deve aspettare che in qualche modo venga affrontato il problema dello sguardo (a partire dall’ineludibile quesito: come si può guardare oggi l’immagine di ieri?) e, in successione, che si ponga la necessità di ricostruire i modi di produzione: chi ha fotografato? con quali indicazioni e con quali intenti? quali peculiarità ha il suo lavoro? Sforzandosi, al tempo stesso, di definire gli aspetti quantitativi e connotativi.
Si tratta in realtà di assumere, da parte dei curatori e di chi elabora il saggio a partire dalle immagini, l’impegno a fornire nulla di più che tutte le indicazioni tecniche relative ai materiali nella piena consapevolezza che esse rappresentano non una ridondanza informativa, un di più non indispensabile, ma sono l’equivalente delle notazioni che consentono di descrivere compiutamente, da un lato, il processo produttivo che ha condotto all’immagine, dall’altro, il suo utilizzo.
E, solo a questo punto, riteniamo, che si possa aprire, con il dovuto respiro, la riflessione sugli oggetti prescelti dalla rappresentazione. E nel caso di un’esperienza aziendale e produttiva essi saranno sicuramente: la produzione, le sue tecniche e la sua organizzazione; il lavoro nelle sue competenze e nei caratteri della sua prestazione (fatica, abilità ecc); il prodotto industriale; l’immagine aziendale esterna, ma anche interna, e quindi le sue politiche (le relazioni industriali, il sistema assistenziale ecc.), e così via.
Siamo certi di poter sfogliare, prima o poi, per iniziativa di qualche archivio fotografico aziendale un percorso visivo di questo tipo. Per tale ragione, continuiamo a guardare quelle realtà ove la documentazione fotografica ha da tempo ottenuto un’attenzione specifica in generale: di grande rilievo, per ora, sul piano della conservazione, più timida forse sul piano della valorizzazione e dell’uso delle immagini in quanto fonte documentale.
L’archivio fotografico della Dalmine si candida sicuramente a questo ruolo avendo già compiuto più di un primo significativo passo in tale direzione.
L’occasione della stampa di questo quaderno, con il ventaglio di problematiche che esso finisce per suggerire, è qui a dimostrarlo.
Il cammino della fotografia all’interno della scrittura storiografica non è tra i più semplici e, di certo, rispetto a quello delle altre fonti documentali, tra quelli con minor certezze consolidate: bisogna, con pazienza, sforzarsi di rileggere criticamente e tradurre in esperienza condivisa ogni passo della strada percorsa.

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